
Scrive nella prefazione Giuseppe Masi, presidente dell'Istituto calabrese per la storia dell'antifascismo dell'Italia contemporanea di Cosenza: "La grande stagione politica di Salvatore Cortese si dipana durante la sua permanenza in Argentina, dove arriva intorno alla meta degli anni '20 perché in patria non può più professare liberamente le sue idee. A Buenos Ayres, una realtà metropolitana immensa, caotica ed effervescente, nelle cui periferie si ammassa una folla di profughi e immigrati provenienti da ogni parte del mondo, a contatto con i molti antifascisti i quali intravedono subito, nella società argentina, gli stessi germi che hanno generato il fascismo in Italia e intendono affrontarlo e combatterlo a viso aperto, egli abbraccia la fede anarchica".
Se certamente Salvatore Cortese e l'idea anarchica sono nel testo un binomio inseparabile, altrettanto appassionante appare la vicenda politica e umana che ne traccia nel libro il figlio Domenico.
Nel suo percorso incontra, da soldato, la prima guerra mondiale; nato un anno prima del Novecento fa parte di quella schiera di giovanissimi inviati in guerra denominati poi "Ragazzi del ‘99". Conosce giovanissimo l'emigrazione in una realtà lontanissima e molta diversa dalla sua Lungro come era certo la Buenos Ayres dell'epoca. Comincia in Argentina e seguirà in Italia il suo cattivo rapporto con i governi autoritari dell'epoca. Il ritorno in Italia nel 1932 coincide con l'assegnazione al confino nell'Isola di Ponza, dove rivede suoi vecchi amici del periodo argentino, ma conosce anche illustri confinati di idee diverse dalle sue come il socialista Sandro Pertini. Da confinato, come anche nel periodo precedente, la sua qualità di autodidatta non perde smalto. Nel frattempo, venuto a esaurirsi il periodo di cinque anni di confino, torna a Lungro dove la pressione dell'autorità di pubblica sicurezza è sempre presente. E' automatico per Cortese frequentare anche in paese ambienti antifascisti, insieme ai quali si ritroverà fino alla sua morte, proprio il 27 luglio del 1951.
Articolo pubblicato su La Provincia del 30 luglio 2007