3.Svetigrad, Croia e Albulena
All’inizio del 1448, gli informatori di Giorgio lo avvertono che Murad II in persona guiderà a breve una enorme armata contro la fortezza di Svetigrad. Alla testa del suo esercito, 80.000 uomini in tutto, si muove verso il castello albanese, raggiungendolo nel Maggio 1448. Oltre a preparare le difese, Scanderbeg si posiziona con 4.000 cavalli leggeri a pochi chilometri dal campo turco. In realtà, tutti i rilievi intorno a Svetigrad pullulano di uomini albanesi pronti alla guerriglia. Gli ufficiali di Murad, venuti a sapere che Scanderbeg è lì, da qualche parte in mezzo alle montagne, mandano migliaia di cavalieri per stanarlo. I Turchi riescono effettivamente a trovare il Castriota, o, più probabilmente, è lui che trova loro, visto che nessuno di loro sopravvive al violentissimo scontro con gli uomini del Castriota. Per tutta risposta, Murad II inizia a colpire le mura del castello con alcune delle artiglierie più potenti mai viste fino a quel momento: due cannoni in grado di sparare palle da 200 libbre. Nei primi due mesi di assedio, gli Albanesi funestano il campo turco con sortite diurne e notturne, ma Scanderbeg è costretto, nel Luglio 1448, a distogliere buona parte dei suoi uomini dalla difesa di Svetigrad per andare incontro all’esercito veneziano che sta scendendo da nord.
Nella Battaglia del Drin, combattuta il 23 Luglio 1448, Scanderbeg annichilisce le forze veneziane, che lasciano sul campo 2.500 morti e un migliaio di prigionieri. Una settimana dopo però, Svetigrad si arrende a Murad II alla condizione che questi permetta alla guarnigione di tornare in Albania. Il Sultano accetta i termini e, nonostante le pressioni del figlio Maometto (che vorrebbe decapitare tutti i difensori per vendicare i 20.000 Turchi morti), rispetta la parola data.
Il Castriota, vittorioso su un fronte e sconfitto sull’altro, cerca di riorganizzare l’esercito assieme alla Lega. Venezia invece è talmente terrorizzata da cercare un sicario che faccia fuori il Dragone d’Albania in cambio di uno stipendio perpetuo di 100 ducati l’anno. Non trovando nessuno disposto a farlo, Venezia si rivolge addirittura agli Ottomani.
Fra Venezia e Adrianopoli (mancano ancora cinque anni alla conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II) i rapporti sono analoghi a quelli fra Roma e Ctesifonte o fra altre civiltà rivali del passato: grandi guerre, razzie e violenze, ma anche scambi commerciali e qualche temporanea concordanza d’interessi.
La diplomazia e le promesse veneziane convincono Mustafa Pashà a invadere l’Albania con 15.000 uomini solo pochi giorni dopo la sconfitta veneziana. Il 14 Agosto incrocia a Oranik (odierna Debar, in Macedonia) l’esercito di Scanderbeg, che conta meno della metà dei suoi uomini. Gli Albanesi però hanno il morale alto e conoscono bene il territorio. I Turchi vacillano già ai primi contatti, poi crollano davanti agli assalti Albanesi e finiscono massacrati. Ne muoiono 3.000, ma Scanderbeg vuole sfruttare le disponibilità economiche del Sultano. Cerca quindi di catturare il generale Mustafa Pashà vivo. E ci riesce. Proprio da quest’ultimo viene a sapere che a sollecitare l’attacco sono stati i Veneziani. Il Castriota va su tutte le furie. La sua rabbia si placa solo temporaneamente quando arrivano i messi di Murad II, che hanno portato la cifra incredibile di 25.000 ducati per riscattare Mustafa Pashà.
Con la sconfitta di Drin e quella dell’alleato ottomano, Venezia si trova in grave affanno e vede la possibilità concreta di essere completamente estromessa dalla riva orientale dell’Adriatico. Tuttavia, Scanderbeg ha intenzione di continuare la sua guerra totale contro i Turchi, quindi accetta di buon grado di sedersi al tavolo con i Veneziani per sottoscrivere un accordo di pace e mantenere sicuri i confini settentrionali dell’Albania.
Il 4 Ottobre 1448 conclude con loro un trattato di pace. Per Venezia è particolarmente oneroso, visto che prevede (i) una pensione annua di 1.400 ducati per Scanderbeg, (ii) altri 1.500 ducati in “prestito” per contribuire alla spedizione contro gli Ottomani che intende dirigere assieme a Giovanni Hunyadi, (iii) l’eliminazione dei dazi sul sale per un totale di 200 cavalli ben carichi del bene ogni anno, (iv) la possibilità, in caso di sconfitta contro gli Ottomani, di trovare rifugio nei territori veneziani, e altre previsioni minori.
In soli quattro anni, Scanderbeg e i suoi alleati hanno sconfitto sia gli Ottomani che i Veneziani, ossia due nemici dalle finanze molto solide, e con grande esperienza di cose militari e diplomatiche. È il 1448, e la lotta per l’indipendenza albanese è appena iniziata.
A metà Ottobre del 1448, quindi pochi giorni dopo la firma del trattato con i Veneziani, Scanderbeg prova a raggiungere l’esercito dell’Hunyadi. Il despota di Serbia però, Durad Brankovic, non gli permette il passaggio e diserta la causa cristiana. Hunyadi affronta quindi gli Ottomani senza l’aiuto del comandante albanese, e viene sconfitto nella Seconda Battaglia del Kosovo, conclusasi il 20 Ottobre 1448.
Per punire Brankovic, Scanderbeg mette a ferro e fuoco i suoi territori prima di ritirarsi. È conscio del fatto che, dopo aver conquistato Svetigrad e sconfitto duramente Giovanni Hunyadi, Murad II colpirà di nuovo l’Albania.
Scanderbeg conosce anche l’obiettivo del Sultano, ossia la fortezza di Croia. Prima cerca di alzare il morale dei suoi facendo raccontare dai diversi religiosi visioni di vittoria e gran massacro di Ottomani, poi inizia i preparativi militari. Affida la difesa della città al conte Vrana e ai suoi 1.500 soldati, cui si aggiungono tutti gli uomini abili di Croia. Il resto degli abitanti (le c.d. “bocche inutili”) viene evacuato sulle montagne vicino alla costa.
Il 14 Maggio 1450, Murad si presenta con tutto il suo esercito sotto le mura della città. Lo accompagna ancora il giovane figlio Maometto (che diventerà celebre come Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli).
Giammaria Biemmi, nella sua Istoria di Giorgio Castrioto Scanderbeg-Begh, riportando la confessione di un ufficiale turco, dice:
“Un uffiziale Turco che fu fatto prigione sul fine dell’Assedio dichiarò che da principio non superavano il numero di cento mila. Al che poi aggiungendo i guastatori, i vivandieri, i bagaglioni, e quella bassa gente, che è solita seguir le armate non sono lontano dal credere che potessero in tutto arrivare a quel mentovato numero di cento e sessantamila”
Murad ha portato il metallo necessario a forgiare sul posto dieci grossi cannoni, ciascuno capace di sparare pietre da 600 libbre. Il conte Vrana rifiuta la richiesta di capitolazione immediata e, successivamente, rifiuta anche l’enorme somma di denaro promessagli dal Sultano in caso di passaggio fra le sue fila.
I cannoni prendono a martellare le mura, riuscendo ben presto ad aprire una breccia. L’assalto generale dei Turchi è violentissimo. Lo stesso conte Vrana subisce una grave ferita, ma alla fine riesce a infliggere agli uomini del Sultano abbastanza perdite da farli desistere. E il Sultano non ha ancora fatto i conti con Scanderbeg. Gli 8.000 uomini guidati dall’eroe albanese sono ovunque: nei boschi intorno alla fortezza, sulle montagne, a presidiare le strade. Attaccano l’accampamento turco giorno e notte, tagliano l’arrivo dei viveri, impediscono le comunicazioni e massacrano tutti i contingenti inviati a stanarli.
Scanderbeg sa di non poter vincere un assedio statico, quindi punta tutto sulla sua abilità nelle tattiche di guerriglia e di pressione psicologica. Quando i Turchi lanciano gli assalti alla città. Scanderbeg si materializza nelle retrovie e massacra i reparti arretrati prima di ritirarsi. I soldati turchi non dormono praticamente più, e sono costretti a razionare i viveri come gli albanesi all’interno della fortezza.
Le voci relative allo scarso vettovagliamento del campo arrivano ai Veneziani; pochi giorni dopo, i mercanti della Serenissima arrivano con derrate alimentari e polvere da sparo che il Sultano paga a caro prezzo.
Gli Albanesi però non apprezzano il comportamento dei mercanti veneziani, tanto che alcuni di questi ultimi finiscono con la gola tagliata nelle loro tende. La tregua fra i due popoli è fragile, e sono i Veneziani a cedere per primi, dando ordine al governatore di Durazzo di supportare solo gli Albanesi.
Durante questo assedio Scanderbeg elabora, secondo la leggenda, una sortita notturna che getta i Turchi nel terrore. Per alcuni giorni, fa radunare ai suoi uomini migliaia di capre e, a notte inoltrata, lega delle torce alle loro corna prima di lanciarle contro il nemico. Dietro gli animali, avanzano anche i suoi soldati. Gli Ottomani si precipitano fuori dalle tende, convinti che l’esercito che li sta attaccando sia addirittura più numeroso del loro. Quando si accorgono dello stratagemma è già troppo tardi. Il Castriota miete centinaia di vittime e ritorna trionfante sulle montagne. Sempre secondo la leggenda, a seguito di questa vittoria, Scanderbeg inizia a indossare il celebre elmo con le corna di capra che trova posto in tutte le sue rappresentazioni iconografiche.
Il 26 Ottobre 1450, dopo mesi di assedio, il Sultano capisce che non c’è modo di prendere la città. Più di 8.000 dei suoi sono morti e i feriti riempiono il campo, così preferisce rientrare ad Adrianopoli ed evitare una disfatta di proporzioni ancora più larghe. Circa tre mesi dopo, ancora infuriato per lo smacco subito, Murad II si ammala e muore. Gli succede però il figlio, Maometto II, che ha capacità di governo e strategiche forse addirittura superiori a quelle paterne.
Pur avendo sconfitto un esercito dieci volte più numeroso del suo, Scanderbeg non naviga in buone acque. Le continue guerre hanno stremato terre e abitanti, mancano i soldi necessari a pagare truppe e provviste, e molti nobili albanesi hanno abbandonato la lotta o sono addirittura passati dalla parte dei turchi o dei veneziani.
Alla ricerca di un alleato più solido, Giorgio Castriota Scanderbeg sembra trovarlo in Alfonso V d’Aragona, che regna sull’Italia del Sud e combatte i Veneziani dall’altro lato dell’Adriatico rispetto agli Albanesi. Il 26 Marzo 1451, i due si incontrano a Gaeta per stipulare un’alleanza. Alfonso V, avendo risorse molto più consistenti, sa di essere la parte più forte, e quindi pone a Scanderbeg delle condizioni piuttosto onerose (pagamento a lui dello stesso tributo versato al Sultano, proprietà delle terre conquistate ai danni dei Turchi, accettazione di un Vicerè aragonese a Croia, ecc.). Alfonso V stipula alleanze dello stesso tipo con gli altri principi Albanesi, e si ritrova, de facto, a comandare la Lega di Alessio, con Giorgio Castriota Scanderbeg come Capitano Generale della Corona d’Aragona.
In realtà, stando agli archivi napoletani, Scanderbeg non versa mai alcun tributo ad Alfonso V, ma gli invia, dopo ogni vittoria, armi, stendardi e prigionieri turchi. Certo, Scanderbeg deve accettare una guarnigione di 100 soldati catalani nella sua Croia, e la presenza del Vicerè Ramon d’Ortofa nel suo palazzo, ma ha bisogno della pensione di 1.500 ducati l’anno proveniente da Alfonso V, che, insieme a quella che riceve da Venezia (1.400 l’anno), gli permette di sfamare e armare i suoi uomini.
Appena un mese dopo l’incontro con Alfonso V, Scanderbeg sposa la figlia di Giorgio Araniti, importante nobile albanese che l’anno precedente si era alleato con i Veneziani. Quella di Scanderbeg è una mossa intelligente, perché gli permette di legarsi a una famiglia potente ma sempre incerta nelle alleanze. La ragazza si chiama Andronica (ma ricorre anche il nome Marina), e Araniti versa al Castriota una dote così consistente da suscitare le ire dei suoi tre figli maschi (che disertano la cerimonia). Bisogna anche sottolineare come il condottiero albanese abbia atteso fino ai quarantasette anni prima di prendere moglie, cosa che palesa meglio di ogni altra i sacrifici di una vita passata sui campi di battaglia.
Nel 1453, con la caduta di Costantinopoli e il sacco della città, la Cristianità trema. Venezia comprende di come Maometto II rappresenti un pericolo enormemente maggiore rispetto a Scanderbeg, e ordina quindi al governatore di Alessio di scortarlo in Italia per stringere le alleanze necessarie a contrastare gli Ottomani. Alfonso V, sempre generoso, concede al Castriota 2.000 uomini e un discreto numero di pezzi d’artiglieria.
Nel Giugno 1455, i soldati napoletani si uniscono a quelli albanesi nell’assedio di Berat, che si arrende non appena l’artiglieria cristiana fa breccia nelle mura. I difensori di Berat chiedono undici giorni di tregua prima di cedere la città, così Scanderbeg reputa opportuno lasciare quasi tutti gli uomini intorno alla città e tentare l’assedio di un’altra fortezza con un piccolo contingente. Purtroppo però, i soldati lasciati indietro diventano in pochi giorni una torma di razziatori senza scrupoli. Il luogotenente albanese, Musachi Thopia, non riesce a tenerli a freno o forse non ci prova nemmeno.
Divisi in gruppi e intenti a devastare i dintorni della città, gli Albanesi non si accorgono dell’arrivo del comandante ottomano Isa-Beg Ishakovic, e soprattutto dei 40.000 cavalieri al suo seguito.
Gli Ottomani massacrano tutti gli Italiani e oltre la metà degli Albanesi. Una carneficina cui non sfugge neanche il menzionato Musachi Thopia. Isa-Beg Ishakovic, soddisfatto dell’impresa, permette ai suoi uomini di prendere le teste degli Albanesi morti come trofei. Come umiliazione finale, i soldati turchi le vendono ai ragazzini di Costantinopoli per giocarci a calcio.
Quando la notizia della disfatta giunge alle orecchie dei Veneziani, questi tentano di convincere i nobili Albanesi ad abbandonare Scanderbeg. Molti rimangono al suo fianco. Altri, invece, preferiscono passare nelle fila di Venezia o degli Ottomani. Il miglior generale ed amico del Castriota, Mosè di Dibra, diserta per i Turchi poco dopo Berat. Quello delle alleanze di cristallo è un problema che funesta il Castriota fino alla fine dei suoi giorni. I cambi di schieramento non sono certo una prerogativa esclusiva dei nobili albanesi o dei Veneziani, ma le difficoltà economiche della Lega di Alessio e la ricchezza dei due poteri che più la contrastano sono un forte incentivo a tradimento e trattative sottobanco.
Nel Maggio del 1456 – appena due mesi prima dell’Assedio di Belgrado, che si chiude con una roboante vittoria di Giovanni Hunyadi – è proprio il vecchio amico di Scanderbeg, Mosè, a guidare un’armata turca di 15.000 cavalieri nella bassa Dibra. Il Castriota lo conosce bene e sembra prevedere le sue mosse. Quando vince la battaglia e mette in rotta gli Ottomani, Giorgio vede presentarsi innanzi a lui Mosè. Invece di ritirarsi, questi si presenta a Croia chiedendo il perdono di Scanderbeg, che glielo concede quasi subito. Pur essendo un combattente spietato, il Castriota sa essere molto magnanimo con i suoi fratelli albanesi.
Fra gli altri traditori di Giorgio ci sono due suoi nipoti: Giorgio Stresi Balsha (figlio della sorella di Scanderbeg, Yella), e Hamza Castriota. Quest’ultimo, in particolare, non ha mai abbandonato la religione islamica, e comunica ai Turchi di poter ottenere il supporto di tutti i nobili Albanesi per rovesciare Scanderbeg. Il suo voltafaccia è “giustificato” dal fatto che, con la nascita del figlio di Scanderbeg, Giovanni, non gli rimane più alcuna possibilità di ereditare i possedimenti e la carica dello zio.
Nell’estate del 1457, il Sultano ordina al governatore del sangiacco di Üsküp, Isa-Beg Ishakovic, di guidare l’esercito ottomano in Albania e regolare definitivamente i conti con Scanderbeg. Al suo seguito i soliti 80.000 soldati, con Hamza Castriota comandante in seconda. Scanderbeg è in grado di schierare un esercito dieci volte meno numeroso, quindi non solo si sposta sulle montagne, dove il terreno è più scosceso e accidentato, ma divide i suoi uomini in gruppi di poche centinaia di unità e ordina loro di proseguire sui monti in direzioni diverse. Hamza e Ishakovic non si fanno problemi a torturare gli Albanesi che trovano sul loro cammino per estorcere informazioni sul Castriota. Nessuno parla, tanto che, alla fine dell’estate, tutti pensano che Scanderbeg sia fuggito definitivamente.
Il governatore veneziano di Durazzo, Marco Diedo, annuncia addirittura al Doge che ormai tutta la nobiltà Albanese è passata dalla parte dei Turchi e che il problema Scanderbeg può dirsi risolto:
“El magnifico Signor Scanderbergo va per le montagne fuzendo la sua testa, el quale è stato abandonado da tuti li principali suoi, li quali sono andati cum el Turcho... In questo esercito del Turcho è tuta la possanza del gran Turcho, secondo se dice, che sono tra da cavallo et da pè persone 80.000.”
Per tenere sotto controllo sia Croia che Alessio, la maggior parte dell’esercito ottomano (50.000 soldati) si posiziona nei pressi di Albulena (Ujëbardha) a nord-ovest della prima città e a sud della seconda. Gli altri 30.000 soldati vengono messi a presidio della logistica e a tenere sotto scacco i forti albanesi di Cidhna, Dibra, Guri i Bardhe, Mat, Rodon e Petrela. Hamza Castriota è acclamato nuovo sovrano d’Albania, ma sotto la protezione del Sultano. Alla fine di Agosto del 1457, Ishak Bey e Hamza celebrano la loro vittoria.
Ma non hanno fatto i conti con Scanderbeg.
Le manovre di Scanderbeg nel 1457 Il 2 Settembre 1457, dopo aver segnalato ai suoi uomini di raggrupparsi, Scanderbeg li fa avanzare in silenzio verso l’esercito ottomano, in quel momento intento a riposare dopo il pranzo. Alle spalle del campo ottomano c’è la costa, quindi Scanderbeg divide nuovamente i suoi uomini in tre gruppi, in modo da poter colpire sia frontalmente che dai due fianchi. Prima dell’attacco, è lui stesso a guidare una veloce sortita per eliminare le guardie perimetrali. Un soldato turco riesce però a dare l’allarme, e nel campo si scatena il putiferio.
Scanderbeg guida immediatamente l’assalto frontale. Hamza riorganizza i suoi e scambia con gli ex- amici Albanesi alcune cariche e controcariche di cavalleria. Ishakovic invia altri uomini a supporto di Hamza. Scanderbeg non aspetta altro e ordina di caricare il campo turco dalle altre due direzioni. Gli Ottomani sono convinti di trovarsi di fronte un esercito molto più numeroso, e a nulla valgono le rassicurazioni di Hamza sul fatto che gli Albanesi non possano essere più di 8.000.
Dopo averli incalzati ai fianchi, Scanderbeg tempesta il fronte dello schieramento nemico di archibugiate, dardi e frecce, facendolo arretrare. Schiacciati al centro del campo, gli Ottomani si lasciano prendere dal panico e tentano di fuggire. È una fuga disperata, una rotta completa. Il condottiero albanese guida la cavalleria leggera all’inseguimento dei fuggitivi e li massacra. La stima più conservativa parla di 15.000 Ottomani morti e di altrettanti finiti in catene. Ishakovic riesce a mettersi in salvo grazie all’eroismo dei suoi, mentre Hamza viene fatto prigioniero. La Battaglia di Albulena è il capolavoro tattico del Castriota e rappresenta forse la sua più grande vittoria sia dal punto di vista militare che da quello del morale.
Scanderbeg, che ha già perdonato Mosè di Dibra, comprende che non può fare lo stesso con Hamza. D’altro canto però, non riesce a giustiziare quello che era stato un fedele compagno e un ottimo comandante. Lo invia quindi a Napoli, dove rimane prigioniero per qualche tempo. È lo stesso Sultano a riscattarlo, permettendogli di passare gli ultimi anni a Costantinopoli con la moglie e i figli.
La notizia della grande vittoria del Castriota viene accolta a Roma con grande giubilo. Il 17 Settembre, Papa Callisto III impugna personalmente la piuma d’oca per dimostrare la sua gratitudine al condottiero albanese e, soprattutto, per spronarlo a continuare la sua guerra contro gli Ottomani:
“Itaque, dilecte fili, ut fecis, persevera in tua sincera devotione tuende et defendende fidei catholice: nam deus, cuius res agitur, non deseret causam suam, sed tibi et aliis Christianis de perdentissimis Turchis et aliis infidelibus victoria cum summa gloria et triumpho pro certo dabit.”
Nel 1457 dunque, l’Albania ottiene la sua più grande vittoria sull’Impero Ottomano, e tuttavia tutti sono a conoscenza del fatto, Giorgio Castriota Scanderbeg in primis, che resistere alle invasioni annuali dei Turchi sarà sempre più difficile.