mateAlcuni anni fa, trovandosi in Italia per ragioni di lavoro, una collega giornalista argentina Haydée Isabel Bencini, naturalmente d’origine italiana, venne a farmi una breve visita a Lungro, dove risiedo, soprattutto per conoscerci avendo prima collaborato con lei solamente per via epistolare. Dopo i saluti di rito, lei mi disse che mi aveva portato dalla sua terra un ricordo molto speciale.

Man mano che apriva l’involucro cercava di darmi una descrizione dell’oggetto, dicendo che era molto in uso dalle popolazioni sudamericane. Avevo intuito cosa era quel suo regalo. Non dissi nulla per non deluderla. Lo ammirai molto apprezzandolo e chiesi altri particolari circa il suo uso. L’indomani volle visitare la mia casa, ubicata nel centro storico della albanese Lungro. In un angolo del soggiorno qualcosa la colpì perché rimase ammutolita, sorpresa e direi alquanto confusa. Le chiesi il motivo e lei timidamente mi indicò un angolo della antica vetrina dove faceva bella mostra una piccola collezione di quell’oggetto di cui lei aveva voluto omaggiarmi. Per farle tornare il sorriso le spiegai cosa ci facevano a casa mia quegli oggetti. Cosa che cerco di fare ora anche ai lettori di questa rivista che, si sa, viene inviata a tante famiglie di italiani residenti in Argentina. Per la cronaca, nella stessa mattinata lei registrò per la sua radio un servizio ed unaintervista che mandò in onda con successo al suo ritorno a La Plata.

Una bevanda da cui è difficile distaccarsi. Dunque, quel oggetto serve per gustare un bevanda diffusissima in Argentina, ma anche in altri Paesi dell’America Latina. Si tratta del mate, come la chiamano i lungresi o yerba mate nella lingua originale. A Lungro è considerata una normale bevanda, la cui erba si trova regolarmente in vendita negli esercizi alimentari, con tutto il necessario per la preparazione e la degustazione. In Calabria la si può trovare solo a Lungro, si suppone. Nel resto dell’Italia la si può trovare a Genova, dove viene importata. “Il mate piace e non se ne può fare a meno”, dicono da queste parti, perché è considerata un’ottima bevanda digestiva che sostituisce con dignità il caffè e il the. Si dirà ma come mai solo a Lungro e non in altri centri della Calabria dove vi è stata una maggiore emigrazione in terra argentina? E’ un mistero che affascina tutt’oggi. E’ difficile poter dare motivazioni al riguardo, se non formulando ipotesi plausibili.

Come è giunto a Lungro il mate . L’erba è stata introdotta in Italia, ma dovremmo dire, più esattamente, a Lungro, dai primi emigranti che a fine ‘800 ed inizi ‘900 in poi, avevano raggiunto le Americhe. In particolare quelli approdati in Argentina, i quali inviavano discrete quantità di erba ai parenti rimasti quaggiù in cambio degli aiuti in vestiario ed altro. Nelle fredde acque dell’Atlantico, solcate dai “bastimenti”, come venivano chiamate le navi transoceaniche, questi pacchi si incrociavano con quelli degli emigranti che spedivano chili e chili di erba mate e l’occorrente per la degustazione. Una zucca secca vuota, spesso con l’orlo in metallo semplice o nobile (argento od oro) che in albanese si è sempre chiamato “kungulli” e la bombilla detta “bumbigia”, in metallo, con le due estremità in metallo nobile, la parte superiore per aspirare la bevanda e quella inferiore allargata, bombata e con i necessari forellini di filtraggio

           Come si prepara. La maniera tipica e tradizionale di preparare il mate è un rituale e vi è una persona responsabile della sua preparazione. Queste le istruzioni essenziali: versare due cucchiaini di zucchero all’interno della zucca (kungulli), aggiungere un pezzettino di carbone ardente (fingjilli) per aromatizzare il contenitore; inserire la cannuccia (bumbigia), aggiungere il mate sino all’orlo, due cucchiaini di zucchero e acqua quanto basta non del tutto bollente. La bevanda è ora pronta per essere aspirata tramite la cannuccia. Questo procedimento può proseguire fino a che siano stati utilizzati circa due litri d'acqua. Esiste poi la possibilità di preparare il mate in una maniera differente, come il the, mettendo l'erba in infusione per qualche minuto nell'acqua calda, e quindi filtrarla in tazza. Gli amanti del latte possono anche preparare direttamente il mate con il latte caldo, invece che con l'acqua.

Il rito tradizionale del mate. Il fatto straordinario è che, ancora oggi a Lungro, il mate è preparato ed offerto secondo la tradizione delle popolazioni indios del Paese d’origine. Gli stessi gesti, la stessa ritualità, le stesse occasioni e lo stesso modo di conversare. Forse anche il luogo ha qualcosa in comune: gli indios davanti le loro capanne, seduti attorno al fuoco, indispensabile per riscaldare l’acqua con la pava, e gli arbresh di Lungro, attorno al focolare o al braciere magari seduti sul ballatoio per fare le medesime operazioni. La sua degustazione avviene nell’ambito strettamente familiare (come dimostra la foto che pubblichiamo, in bn di Bruno Marco del 1972) e di vicinato (gjitonia) creando un legame simbolico tra quanti al momento partecipano alla ritualità, che consiste nel far passare contenitore e cannuccia di mano in mano affinché ciascuno possa bere la sua parte, comunque tutto il contenuto, con l’utilizzo della stessa cannuccia, osservando scrupolosamente ciascuno il proprio turno che è stabilito dall’anzianità e dall’importanza delle persone presenti. Un rituale che rappresenta un momento di distensione e di riposo, di vita in comune, di scambio, di commenti e di opinioni. E’ il momento in cui si gode la compagnia, si rinsaldano antiche e nuove amicizie, si da vita alla tipica “gjitonia arbëreshe”, quale senso di fraternità e di solidarietà e si chiacchiera sui fatti e sulle persone del luogo. L’offerta del mate all’ospite, poi, simboleggia l’accettazione e la considerazione della persona stessa quale segno di benevolenza. Quindi l’invito a berlo è il benvenuto che si fa all’ospite al quale non è consentito, se non per forza maggiore, opporre rifiuto.

. I tempi per berlo? Ogni ora è buona, ma di solito la preferenza va nelle ore pomeridiane, le donne sono più tranquille e rilassate, dopo i lavori di riassetto della cucina.

Un motivo in più per visitare Lungro. Quanti avranno avuto la bontà di leggerci si chiederanno dove è possibile gustare il mate venendo a Lungro. Nessuna delle famiglie in cui si avrà la fortuna di essere ospiti vi saprà negare la partecipazione a questo rito. Agli altri visitatori occasionali non mancherà rifornirsi dell’erba mate, della zucca e della cannuccia nei tanti esercizi pubblici di generi alimentari. Se vi trovate nei ristoranti del luogo, a gustare la famosa cucina arbëreshe, chiedete pure il mate a fine pasto, se fortunati, ve lo serviranno ben caldo.

 

La scheda di a.f.

L’erba mate (si pronuncia maté in Argentina e màte in Brasile). è una bevanda tipica dell'America latina, in particolare dell’Argentina che ne è il più grande produttore e consumatore. La pianta fu classificata dal naturalista francese Auguste de Saint-Hillaire nel 1822, ma il suo uso è conosciuto da secoli a molte tribù pre-Colombiane e perfino dagli Incas. I botanici lo indicano come the del Paraguai o the dei Gesuiti. E’ una pianta del genere Ilexparaguariensis, con parecchie varietà, con foglie isolate, coriacee, lucenti, dentellate, con fiori raggruppati in piccoli mazzi producenti un frutto rossastro. Le foglie, disseccate e polverizzate, servono alla preparazione di un infuso diuretico, digestivo e stimolante del sistema nervoso e muscolare.

Hajdée Isabel Bencini, giornalista argentina di origine italiana, vive e lavora a La Plata. Dirige varie pubblicazione tra cui il trimestrale “Dall’Italia 2000”; è corrispondente dell’agenzia giornalistica News Italia Press di Torino. Cura alcune trasmissioni messe in onda dalla Radio Nazionale dell’Università di La Plata. Di questo ateneo è titolare della cattedra di lingua italiana. E’ rappresentante FAILP, la Federazione delle associazioni italiane a La Plata ed in tale veste partecipa ai convegni promossi soprattutto in Italia sui problemi degli italo-argentini.

 

Tratto dalla rivista "I calabresi nel mondo" Anno IV, n.11, Novembre 2003, pag. 20

 

 

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