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La scienza economica

Oro colato? No! Oro di Bologna: rosso per la vergogna.

ricamoE’ nella natura delle cose che la scienza, in continuo divenire, sia costretta a rinnegare se stessa per rinnovarsi. Così la medicina è diventata ‘le Medicine specialistiche’, la fisica ha scoperto che le sue singole leggi, messe insieme, non funzionano più in modo deterministico e l’economia fondata su principi astratti è fallita ed è superata da altri comportamenti concernenti l’uomo reale. Ci dicono che “il primo principio della scienza economica è che ogni agente è interessato solo al proprio tornaconto” (F. Edgeworth, 1881), dove “l’unica assunzione essenziale per una scienza descrittiva del comportamento umano è l’egoismo” (D. Mueller, 1986).

Tale semplicistica visione della scienza economica si impose perché chi non condivideva l’idea di un ‘homo oeconomicus’ senza conflitti di coscienza, forse non aveva sufficienti mezzi economici per contestarla e che certo non apparteneva ad una élite di dominanti potenze coloniali. Penso alla troppo sottovalutata ‘Scuola napoletana’ il cui pensiero supera la implacabile ruggine del tempo.
L’atto umano concreto – economico o extra economico –, ci dice certa cultura umanistica, procede a beneficio di se stessi o degli altri ma anche per suscitare la benevola considerazione degli altri: però forse queste sono solo fantasie di pensatori, che vivrebbero fuori della realtà. In modo assai più empirico le varie scuole americane per venditori, che si sono succedute negli ultimi centocinquanta anni, si sono basate sulla visione cristiana dei ‘sette vizi capitali’.

Queste azioni ‘non sono male in sé’ ma lo diventano allorquando l’agente viene dominato da loro. In realtà tali azioni sono frutto consapevole della sua libera volontà: sono le ‘sette motivazioni all’azione’. Queste motivazioni, che sostengono l’esistenza dell’uomo, sono impiegate nelle tecniche di vendita per indurre all’acquisto il potenziale cliente. Quel che è certo che questa tecnica funziona, anche se in essa manca o è implicito l’unificante ottavo vizio capitale di spiritualità orientale: la ‘tristezza’ che si contrappone alla virtuosa gioia esistenziale. Per certo si tratta di operatori liberi dalle varie dipendenze, positive o negative non fa la differenza: gioco, scommessa – sfida, droga, moda – così-fan-tutti, ‘euforia irrazionale’, emulazione, ‘bolle speculative’, prodigalità, associazioni, donazioni, fondazioni non pelose, volontariato.

Un altro elemento di astrattezza della scienza economica non secondario e da non sottovalutare, fu la visione di un mercato ‘celestiale’ perfettamente concorrenziale in cui opera l’anonimato, la completezza delle informazioni e sono assenti le dinamiche interpersonali; queste condizioni non ci sono nel mercato reale, solo negli ultimi tempi attraverso il mercato telematico si ottiene una maggiore oggettività commerciale ma spesso le scelte operate sono la conseguenza di consigli di qualche nostro buon amico. Ancora più disarmante è la aleatoria compravendita di un progetto, come può essere la fornitura di aeroplani nel momento in cui sono attuate solo le intenzioni, in un mondo in rapida evoluzione di teatro politico e di tecnologie.

L’economia, poi, non è solo la compravendita. C’è per es. l’impiego in comune delle risorse del “bene comune”, c’è la consistenza delle relazioni sociali, la possibilità di avere con maggiore assiduità incontri con i familiari e gli amici, la cortesia, quel di più che genera benefici mutui indiretti, come il microcredito attuato da Muhammad Yunus, dove l’unica garanzia al creditore è data dal ‘collettivo dei beneficiari’ – il credito non è dato al singolo ma ad un gruppo di persone.

I molti ruoli che espletiamo nel nostro vivere quotidiano si intrecciano con il “nostro ostinato e insopprimibile bisogno di dialogo, compagnia, confidenza, considerazione, verifica, rassicurazione, riconoscimento, ascolto, stima, ecc.” per le quali non ci sono supermercati, sono cose che non si comprano e che vanificano la presunzione scientifica economica.

Purtroppo da questi assiomi visti e da altri – veri pregiudizi – ne è derivato in buona parte il costituirsi del mondo successivo, quello che è giunto a noi e che ha imprigionato l’uomo entro una ‘ricca’ prigione di infelicità e che rende difficoltosa l’apertura alle relazioni sociali e alla “mutua fecondazione” della vera comunicazione interpersonale. La nostra vocazione di comunione ostacolata rende più difficile la nostra personale realizzazione esistenziale. C’è molto da fare per migliorare, ripristinare la qualità della vita (la Felicità Interna Lorda) nella famiglia, nel vicinato, nell’ambiente di lavoro – inquinato in verticale ed in orizzontale, nei rapporti gerarchici e tra i colleghi –, in strada... in chiesa ma il primo passo da fare per il cambiamento sta nel convincerci della importanza non solo teorica ma pratica della dimensione relazionale.____06.15

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