StatuaMons LupinacciSotto i raggi del declinante sole, immerso nel chiacchiericcio in lingua arbëreshe dei presenti, mi ritrovo seduto "distanziato" con davanti il largo del Santuario Santi Cosma e Damiano a San Cosmo Albanese dove, sotto l'effetto delle prime impressioni della cerimonia, scrivo questa minuta, guardando il busto appena inaugurato che raffigura il compianto vescovo Ercole Lupinacci.

Solo lo Spirito può scolpire con le sue dita leggere, la carne viva di un sacerdote e vescovo, ma i suoi tocchi luminosi anche se inaccessibili all'umano scultore, si trovano involontariamente accennati nel volume pesante di bronzo di un busto, laddove la materia diventa descrizione fedele del rappresentato e prende vita. La critica concorda col considerare il "Ritratto Ovale", famoso racconto di Allan Edgar Poe, il primo caso di travaso della vita in un oggetto d'arte. Più avanti, la citazione più famosa di questo racconto, diventa cliché in epoca moderna nel famoso "Ritratto di Dorian Gray" di Oscar Wilde. Ovviamente la trama di questi è contorta, qui mi interessa solo l'idea di rendere eterna, oppure comunque più lunga, mediante l'arte, la brevità della vita. Immagino il meccanismo funzioni analogamente anche per la scultura. Precursore di questa idea, si potrebbe considerare proprio l'icona bizantina con una differenza sostanziale: la dimensione umana è intrecciata a quella divina e il senso della presenza in quel caso è reale. Non posso vantare qui (lo ha ben insegnato Pirandello) che una mia parziale conoscenza del soggetto; allo stesso modo ognuno con la sua esperienza, “con i suoi occhiali”, "vedrà" un busto diverso, una figura costruita in base alla sua propria esperienza, più dettagliata e completa in base alla durata e alla qualità del rapporto avuto col venerabile pastore. Nello stesso tempo mi piacerebbe afferrare il tutto nella sua realtà immediata e sintetica. Non avere solo uno degli innumerevoli "punti di vista" sempre incompleti ma il colpo d'occhio tutto intero. Cercando al di sotto dell'io empirico lo spirito che è inafferrabile e tuttavia è la sorgente dell'unità dell'essere umano. San Massimo Confessore diceva che ci si unisce alla Santissima Trinità per tradurne il suo mistero nei rapporti umani. Mi ricordo chissà perché, l'insistenza del vescovo Ercole sull'importanza del battesimo. Sarebbe, ripeteva spesso, l'unica data che ha senso essere celebrata, più che il compleanno e le tante altre occasioni (date del matrimonio, ordinazione, oppure l'ottenimento della maturità, della laurea, la patente ecc.) che normalmente offrono "l'assist" giusto per festeggiare. In effetti persino il grande liturgista del sec. XIV, Nicolas Cabasilas, nel suo celebre trattato "La vita in Cristo", sulla scia di San Giovanni Crisostomo descrive lo splendore dell'anima, raggiante dello splendore di Dio, al momento del battesimo. Il realismo, ahimè, costrinse però persino lui a trarre un sospiro di profonda amarezza: "ohimè, questa gloria ineffabile e inviolabile non dura in noi che un giorno o due; poi la tempesta degli affari terreni la spegne". Questo si può dire, in effetti, di ogni momento che ci contagia entusiasmandoci, persino di questo istante bello e solenne della messa sul piedistallo dell’amato e stimato vescovo. Tra la meravigliosa promessa del seme e il germogliare potenziale si stende una pianura arrida, la 'banalità' della vita umana. Quanto sarà stata estesa quella pianura nella vita del Monsignore non la sapremmo mai e non ha comunque nessuna importanza. Inserisco qui invece un ricordo personale, di un momento speciale. Ebbi la fortuna singolare d'assistere nel 2006 a Buenos Aires all'incontro del vescovo Lupinacci con l'allora Cardinale Bergoglio, a casa di quest'ultimo. Con acume ironico, (eravamo un anno dopo l'elezione al soglio pontificio di Papa Benedetto XVI), Mons. Ercole alludendo alle indiscrezioni uscite sulla stampa riguardo al conclave, osservò divertito: "a momenti uscivate Papa" e i due risero come due vecchi amici. Quando effettivamente anni dopo diventò Papa Francesco, gli mandava sempre, tramite i calabresi andati in udienza, i suoi saluti: "al vecchio eparca". Nella Santa Messa, (chiamata dai bizantini Divina Liturgia) dopo la consacrazione e subito dopo il bell’inno alla Madre di Dio chiamato "Axion éstin" é incastonata una bella preghiera per i superiori della chiesa, Papa e vescovo. Viene introdotta come canone quindicesimo dal sinodo svoltosi a Costantinopoli nel 861. Si prega affinché Dio "conceda alle chiese un vescovo che viva in pace, incolume, onorato, sano, longevo”. Se proprio volessimo entrare nelle sfumature, la parola greca χαρίζω fa parte di un gruppo di parole con la χάρις, la grazia, "gratia quia gratis est". Il termine italiano “concessione” non rende appieno l’idea. Si potrebbe meglio sostituire col termine dono. In definitiva ogni vescovo è un dono gratuito di Dio alla comunità e va onorato. Nella cerimonia commemorativa di stasera è stata ricordata anche la sua eredità di parroco consistita tra l’altro, della ideazione della struttura che potesse accogliere i pellegrini giunti a San Cosmo per la festa dei Santi medici. Il parroco Papàs Giuseppe Barrale nel suo indirizzo di benvenuto ha ricordato il grande lavoro di Don Ercole in parrocchia, di cui ne è l’erede. Nel discorso Sua Eccellenza Mons. Donato Oliverio - il vescovo eparchiale di Lungro che ha presieduto il Vespro solenne - ha parlato dell’importanza di Mons. Lupinacci nella storia recente del popolo italo-albanese e ha accolto con grande favore l’iniziativa. Una figura forgiata in bronzo, ha detto, rassicura i pellegrini che arrivano in pellegrinaggio e li accompagna nel loro ritorno a casa; solo arricchiti dalla fede si riesce ad affrontare uniti e non divisi le difficili prove della modernità. Il bronzo è stato realizzato in Albania dall’artista Ardian Pepa per la volontà delle autorità locali. In effetti, il Sindaco Damiano Baffa, da parte sua e dell’Amministrazione comunale ha ringraziato tutti delineando a sua volta i motivi che attestano la grande stima di Zoti Ercole Lupinacci parroco, e che lo ha spinto all’iniziativa, accennando in primis alla sua perizia nel campo architettonico artistico conformando la chiesa del Santuario agli stilemi orientali, curando anche le decorazioni col ciclo pittorico bizantino; alla scuola melurgica dei canti dove seppe infondere l'amore per il canto tradizionale e infine all'eccellente rapporto con le autorità locali (a parere dello scrivente penso sia più che giusto che nelle piccole comunità, dove si ha la possibilità di vivere rapporti umani autentici, bisogna coltivare i rapporti di amicizia e promuovere la collaborazione reciproca). Tutti hanno dunque tratteggiato un grande, rispettoso e riconoscente quadro ricordando le innumerevoli qualità del compianto Pastore. Ha celebrato il Vicario eparchiale, Protopresbitero Pietro Lanza alla presenza di altri confratelli sacerdoti, sindaci del circondario, autorità militari e fedeli. Nato a San Giorgio Albanese nel 1933 dopo gli studi, viene ordinato sacerdote nel 1959 e successivamente collabora tra 1960-1963 nella parrocchia di San Demetrio Corone e poi dal 1963 e fino alla nomina vescovile avvenuta il 1981 ricoprì la carica di parroco a San Cosmo Albanese. Ha guidato con fermezza e duttilità l'eparchia di Lungro e in questa veste offrí anche a me l'opportunità di fare un'esperienza in Calabria, secondo il sistema di rappresentanza vicaria sul quale si basa il servizio sacerdotale. Torna al Padre celeste il 6 agosto 2016, dalla stessa "Casa di cura" adiacente al Santuario, che fu nel passato da parroco, come possiamo immaginare, teatro delle sue febbrili preoccupazioni. Essendo egli ricoverato là da quando la fiamma della vita, una volta così energica e palpitante, se ne andava pian piano a spegnersi è stato sempre affiancato da Domenico Barbieri, direttore della struttura e suo fidato collaboratore. Nella novella di Cechov "Il Vescovo", l'autore mise tanti pensieri personali e dettagli autobiografici nel personaggio principale: i sentimenti di solitudine nella desolazione provinciale, rabbia per innumerevoli cose meschine che ostacolavano il suo lavoro (erano i motivi principali delle sue lettere di Yalta del 1899-1902). Si lamentava della necessità di prendere il tè più e più volte dato il flusso infinito di ospiti "... tra i quali non c'è una sola persona con cui parlare e alleggerire il mio cuore"; di essere "malato e solo" e di sentirsi "come in esilio". Sembrano difficoltà universali che potrebbero affliggere "mutatis mutandis" qualunque ecclesiastico. Infine, Cechov descrive la morte del vescovo e gli istanti che la seguono. La sua anima si libera di ogni peso, della sua dignità vescovile, dei suoi pesanti paramenti dorati, delle preoccupazioni degli altri e soprattutto di se stesso, ed egli si rivede giovane, allegro, mentre attraversa un campo fresco e verdeggiante, tenendo nella mano un leggero bastone. Così immagino Mons. Lupinacci, finalmente libero, mentre sale allegramente la Scala del Paradiso, gaio della sua naturale gaiezza, lieto infine della gioia pasquale celeste, e mi viene in mente la sua insolita, ampia risata. Papàs Elia Hagi, parroco di Vaccarizzo Albanese

 

Articolo tratto da: www.coriglianocalabro.it

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