La storia ci insegna che spesso ogni cosa buona è stata distrutta per essere poi faticosamente ritrovata e riaffermata; questo travaglio è rimasto impresso nei volti delle antiche città ed appare evidente anche nei nostri centri Arbëreshe, i quali aggrediti con manomissioni ed interventi di manutenzione inconsapevoli delle valenze storiche e culturali che esse rappresentavano, vanno sempre più abbandonando quel aspetto tipico ed unico che da sempre ha caratterizzato questi luoghi, amplificati da un altro fattore altrettanto determinante, forse anche più pericoloso: la caduta della qualità.
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Analizzando la trasformazione in atto, vi sono due momenti
distinti che vanno citati: essi riguardano coloro che hanno
amministrato i paesi Arbëreshe negli ultimi tre-quattro decenni.
Il
primo mira a riconoscere la bravura, la caparbietà e padronanza
politica ad accedere, quasi sempre, ai fondi messi a disposizione dagli
organi preposti.
Il secondo a sottolineare la mancanza di
formazione manageriale, storica e tecnica, nell’affidare gli incarichi
a quei professionisti forniti di bagaglio tale da intervenire nelle
aree di cultura Arbëreshe con rispetto e buon senso.
Ne
consegue l'urgenza di nuove strategie in un programma di recupero del
"genius loci" che non disdegni l'esigenza di progresso, realizzando un
"buon" governo del territorio che consiste nel costruire una
sensibilità paesaggistica, evidenziando lo stretto rapporto tra natura,
sito e antropizzazione, superando la falsa antitesi tra conservazione e
sviluppo.
Occorre, quindi, mettere in atto una "politica del paesaggio", cioè calcolare le compatibilità economiche e sociali dei centri storici per sfruttarne il valore ed erigerlo a bene collettivo.
Governare
il territorio vuol dire indirizzare lo sviluppo per garantirne la
qualità nella continuità con il passato; mentre tutelarlo significa,
perciò, controllare, verificare e dare impulso alla qualità delle
trasformazioni.
Non è possibile conservare immutabile il paesaggio, anche quello più suggestivo; il più ricco di storia e d'arte deve poter tollerare continue e inesauribili spinte evolutive.
I centri Arbëreshe, sono territori vivi, abitati dall'uomo, dove anno dopo anno, secolo dopo secolo, gli spazi devono fare tesoro del passato, aggiungendo nuovi episodi in delicata armonia, senza traumi nè strappi.
Programmare lo sviluppo è l'unico modo per evitare
delle modificazioni incontrollate, occorrono una profonda conoscenza
della storia, sensibilità e capacità manageriali; agire in simbiosi
tra conservazione e innovazione, essere artefici del rinnovamento e
di una riscrittura della scena nel più profondo rispetto del passato,
saper attraversare i livelli intrecciati della storia e dell'ambiente
in un'illuminante e innovativa spazialità.
Da ciò la necessità, concludendo, di porre in sinergia le istanze della conservazione e quelle dell'innovazione per lavorare insieme, senza polemiche e protagonismi, in uno spirito di leale cooperazione fra enti.
Atanasio arch. Pizzi