Cronaca e intervento dell'autrice
Dal 9 al 16 agosto 2008 si è svolta a Lungro la "Prima Settimana della Cultura", organizzata dalla Amministrazione comunale.
. Dal 9 al 16 agosto 2008 si è svolta a Lungro la "Prima Settimana della Cultura", organizzata dalla Amministrazione comunale.
La lodevole iniziativa,
curata con puntualità e passione dal prof. Giovanbattista Rennis, assessore
alla cultura, ha toccato vari settori: grafica, pittura, artigianato
locale con una ricca mostra, musica, poesia popolare arbëreshe e storia.
Per l'occasione è stata inaugurata la nuova sede della biblioteca
comunale ed è stato assegnato il primo premio "Città di Lungro"
a personalità lungresi che si sono distinte per la loro attività professionale.
Nel quadro della manifestazione è stata presentata l'opera storica, di recente pubblicazione, di Maria Franca Cucci "Il Pontificio Collegio Corsini degli Albanesi di Calabria - Evoluzione storica e processo di laicizzazione" (Ed. Brenner, Cosenza 2008).
Ha tenuto una
articolata relazione il prof. Attilio Vaccaro, docente dell'Università
della Calabria.Nel quadro della manifestazione è stata presentata l'opera storica, di recente pubblicazione, di Maria Franca Cucci "Il Pontificio Collegio Corsini degli Albanesi di Calabria - Evoluzione storica e processo di laicizzazione" (Ed. Brenner, Cosenza 2008).
Egli, dopo
una breve introduzione di carattere generale sulle ragioni che hanno
determinato la fondazione del Collegio, ha fornito una puntuale bibliografia
di studiosi antichi e moderni che hanno rivolto la loro attenzione alle
vicende dell'Istituto sotto varie angolazioni (Zavarroni, Rodotà,
Argondizza, Mazziotti, Capalbo, Tinivella, Tavolaro, Giura, Cassiano).
Nuova consistenza scientifica alla storia del Corsini - asserisce il
Vaccaro - viene data appunto da questa pubblicazione, sulla base di
una vasta documentazione d'archivio, quasi del tutto inedita. Il filo
conduttore dell'opera si sviluppa in due direzioni: storico-religiosa
e politico-sociale, con una speciale attenzione alla vita interna del
Collegio ed alla gestione dei vescovi-presidenti. Il relatore ha poi
analizzato con opportune considerazioni il contenuto del libro. Ne è
emerso il grande contributo culturale del Collegio fondato da Clemente
XII.
Il prof. Italo
Costante Fortino dell'università "L'Orientale" di Napoli ha
invece illustrato le finalità della collana specialistica "Biblioteca
degli Albanesi d'Italia" da lui diretta, nella quale si inseriscono,
oltre all'odierna pubblicazione, importanti opere, alcune inedite
ed altre riedite con contributi di studiosi. Egli ha infine sottolineato
particolarmente l'importanza dell'aspetto internazionale del Collegio
Corsini e i suoi rapporti con l'Albania. Al Collegio vi hanno studiato
o insegnato insigni scrittori e patrioti albanesi, come Luigj Gurakuqi,
Kolë Kamsi, Aleksandër Xhuvani, Avni Rrusteni. G.Jakova-Merturi, Mehdi
Frashëri.
E' intervenuta
poi l'autrice, che ha puntualizzato come del Collegio ha inteso approfondire
specialmente l'aspetto religioso-ecclesiale, nel suo ruolo di seminario
per gli Albanesi di Calabria di tradizione bizantina. L'opera vuole
anche offrire un imput alle nuove generazioni, minacciate dalla
crescente globalizzazione, per riscoprire le radici della propria storia
e difendere e sviluppare la propria identità etnico-culturale. Uno
sforzo comune questo al fine di garantire la sopravvivenza attiva delle
comunità arbëreshe (Besa/Roma).
{mospagebreak title=Intervento della Prof.ssa Cucci}Intervento dell'autrice Prof.ssa M. F. Cucci
Ringrazio vivamente l'Amministrazione Comunale nella persona del sindaco prof. Giuseppino Santoianni
e dell'assessore alla cultura, l'amico prof. G.B. Rennis, per aver organizzato
questa manifestazione. Un altro doveroso ringraziamento al dott. Attilio
Vaccaro, mio caro alunno e stimato professore, per aver accettato di presentare
questo mio lavoro e per le parole di apprezzamento espresse. Ne sono veramente
lusingata e commossa. Un grazie anche al prof. Italo Fortino, direttore della
Collana specialistica "Biblioteca degli Albanesi d'Italia", nella quale è
inserita questa mia pubblicazione, per avermi incoraggiata e sostenuta con
preziosi consigli durante le mie ricerche e per aver insistito perché questo
mio lavoro, durato circa 10 anni, andasse in porto. Un altro grazie all'editore,
dott. Walter Brenner, che per sopraggiunti impegni non è potuto intervenire,
per aver creduto nella validità di questa mia opera, accollandosi le intere
spese della pubblicazione, e a tutti voi che siete qui presenti.
Sul contenuto del libro e sul metodo della ricerca storica ha ampiamente dibattuto il prof. Vaccaro, vorrei soltanto aggiungere che del Collegio Corsini ho voluto approfondire l'aspetto peculiare della sua fondazione da parte di Papa Corsini, quello del suo ruolo di Seminario (da cui il titolo di Pontificio Collegio....) per la formazione del clero italo-albanese di rito greco, aspetto questo religioso-ecclesiale forse poco studiato in confronto ad altri aspetti che hanno caratterizzato la storia dell'Istituto: culturali, letterari, politici, patriottici, amministrativi, su cui non mancano pregevoli pubblicazioni a cui accennava prima il prof. Vaccaro.
Direi che il Collegio Corsini è un po' la storia di noi arbëreshë. Esaminando i numerosi documenti reperiti nei vari archivi civili ed ecclesiastici, ciò che mi ha più colpito ed entusiasmato è stata la tenacia, la caparbietà con cui gli arbëreshë hanno difeso la propria identità ecclesiale espressa nella tradizione bizantina. E' stato infatti proprio l'elemento religioso-liturgico tra i valori costituenti le comunità arbëreshe quello distintivo e predominante, che ha determinato una forte coesione tra gli italo-albanesi. Non a caso il forestiero veniva e viene chiamato "litiri", cioè il latino (e non l'italiano o il calabrese), per distinguerlo appunto dall'albanese di rito greco.
Questo valore è stato difeso con le unghie e con i denti, tanto che gli archivi vaticani e anche quelli di stato sono stracolmi di suppliche, relazioni, richieste, denunce, ricorsi che direi hanno fatto tribolare non poco papi, cardinali, principi, re, vescovi latini, nunzi apostolici, funzionari statali e ministri. Un piccolo popolo, spesso visto con diffidenza, è riuscito a tener desta e viva l'attenzione su di sé con tutti i mezzi possibili di cui disponeva ed in particolare sulla propria identità ecclesiale, che fin dall'inizio della venuta degli albanesi in Italia costituiva per loro la sola identità etnico-culturale nella totalità dei suoi valori. Solo più tardi, con la maturazione culturale anche per merito dei grandi movimenti quali l'Illuminismo, il Romanticismo e il Risorgimento, e proprio in virtù di quel Collegio che nel tempo si allontanò dallo scopo della sua fondazione divenendo istituto laico, gli arbëreshë hanno riscoperto una nuova identità etnico-culturarale, rappresentata anche da altri valori oltre a quelli religiosi: storia, lingua, tradizioni (voglio ricordare l'istituzione della cattedra di albanese nel Collegio). Da qui il fiorire di poeti (De Rada), scrittori, letterati, cultori della lingua e delle tradizioni albanesi, ma anche di insigni giuristi, politici e patrioti (i Damis), che ebbero influssi persino nella formazione letteraria, politica e civile nella stessa Albania.
Se il Collegio aveva esaurito nel tempo la sua funzione di seminario (e questo fa parte della sua storia meno gloriosa), tuttavia come istituto laico aveva aperto nuovi orizzonti culturali. Dalle sue ceneri come Seminario Pontificio, ecco sorgere un'altra importante istituzione: l'Eparchia di Lungro, che finalmente poteva contare su un territorio ben delimitato e su un Vescovo diocesano. Agli italo-albanesi, dispersi fino a quel momento in quattro diocesi latine fra tante tensioni, finalmente venivano riconosciuti i diritti di normale Chiesa particolare bizantina nella comunione cattolica. L'antico sogno degli arbëreshë e la lotta per la difesa della loro identità ecclesiale si era finalmente avverata.
Volevo inoltre sottolineare che ho scritto questo libro non per soddisfare una mia velleità culturale e tanto meno per motivi di lucro, ma per offrire un imput specie alle nuove generazioni, che oggi rischiano di essere fagocitate dalla crescente globalizzazione e dall'omologazione, per riscoprire in qualche modo le radici della propria storia. Per ogni popolo la coscienza e la conoscenza del suo passato ne garantiscono la sopravvivenza e lo spingono a conservare il patrimonio culturale che è sempre fonte di ricchezza. Ciò vale specialmente per noi, che siamo nella condizione di minoranza etnica e quindi più esposti a quel fenomeno della omologazione di cui parlavo prima. Oggi la legge 482/1999 che tutela le minoranze, ci viene incontro per evitare un tale rischio.
Vorrei lanciare un appello prima di tutto alle famiglie che sono le custodi di questo patrimonio: Trasmettete ai vostri figli la lingua e le tradizioni, collaborate ed anzi pretendete dalle istituzioni (comuni, province, regione) e specialmente dalla scuola che riveste un ruolo molto importante in questo ambito, la tutela di tale patrimonio, con iniziative valide a garantire la nostra sopravvivenza. Anche la nostra Chiesa, che ha sempre difeso con convinzione i valori spirituali ed umani degli arbëreshë, ora che non deve più combattere, come in passato, per la salvaguardia del proprio patrimonio teologico, liturgico, canonico secondo lo spirito della tradizione bizantina, può contribuire alla rinascita di questa nostre comunità.
Termino col dire: Ho dedicato questo mio libro, come si legge nella prima pagina, ai miei antenati albanesi perchè essi costituiscono le mie radici, a tutti coloro che hanno lottato per la salvaguardia della Chiesa italo-albanese dato che l'argomento trattato riguarda appunto la storia del Collegio eretto con lo scopo di formare ed educare il clero italo-albanese ed infine a mia madre che, come tutti voi ben sapete, non era arbëreshe di nascita, ma di adozione; aveva imparato a parlare l'albanese, l'aveva studiato quando papàs Emanuele Giordano aveva tenuto dei corsi di grammatica albanese per insegnanti e durante la sua attività didattica aveva sempre promosso ricerche sulla storia e sulla cultura locale.
Era entusiasta delle nostre tradizioni e, quando si trovava a conversare con qualcuno che neanche conosceva la nostra esistenza, ne parlava con orgoglio: "Noi abbiamo una storia gloriosa e delle tradizioni bellissime: la lingua, il costume, i canti, la liturgia..."
Ecco vorrei trasmettere a voi tutti questo stesso entusiasmo, che mi auguro non rimanga uno sterile sentimentalismo, ma che si concretizzi in opere costruttive per la nostra sopravvivenza. Lo dobbiamo ai nostri antenati che hanno sofferto e lottato perché noi oggi fossimo quello che siamo. Grazie! (Besa/Roma).
Sul contenuto del libro e sul metodo della ricerca storica ha ampiamente dibattuto il prof. Vaccaro, vorrei soltanto aggiungere che del Collegio Corsini ho voluto approfondire l'aspetto peculiare della sua fondazione da parte di Papa Corsini, quello del suo ruolo di Seminario (da cui il titolo di Pontificio Collegio....) per la formazione del clero italo-albanese di rito greco, aspetto questo religioso-ecclesiale forse poco studiato in confronto ad altri aspetti che hanno caratterizzato la storia dell'Istituto: culturali, letterari, politici, patriottici, amministrativi, su cui non mancano pregevoli pubblicazioni a cui accennava prima il prof. Vaccaro.
Direi che il Collegio Corsini è un po' la storia di noi arbëreshë. Esaminando i numerosi documenti reperiti nei vari archivi civili ed ecclesiastici, ciò che mi ha più colpito ed entusiasmato è stata la tenacia, la caparbietà con cui gli arbëreshë hanno difeso la propria identità ecclesiale espressa nella tradizione bizantina. E' stato infatti proprio l'elemento religioso-liturgico tra i valori costituenti le comunità arbëreshe quello distintivo e predominante, che ha determinato una forte coesione tra gli italo-albanesi. Non a caso il forestiero veniva e viene chiamato "litiri", cioè il latino (e non l'italiano o il calabrese), per distinguerlo appunto dall'albanese di rito greco.
Questo valore è stato difeso con le unghie e con i denti, tanto che gli archivi vaticani e anche quelli di stato sono stracolmi di suppliche, relazioni, richieste, denunce, ricorsi che direi hanno fatto tribolare non poco papi, cardinali, principi, re, vescovi latini, nunzi apostolici, funzionari statali e ministri. Un piccolo popolo, spesso visto con diffidenza, è riuscito a tener desta e viva l'attenzione su di sé con tutti i mezzi possibili di cui disponeva ed in particolare sulla propria identità ecclesiale, che fin dall'inizio della venuta degli albanesi in Italia costituiva per loro la sola identità etnico-culturale nella totalità dei suoi valori. Solo più tardi, con la maturazione culturale anche per merito dei grandi movimenti quali l'Illuminismo, il Romanticismo e il Risorgimento, e proprio in virtù di quel Collegio che nel tempo si allontanò dallo scopo della sua fondazione divenendo istituto laico, gli arbëreshë hanno riscoperto una nuova identità etnico-culturarale, rappresentata anche da altri valori oltre a quelli religiosi: storia, lingua, tradizioni (voglio ricordare l'istituzione della cattedra di albanese nel Collegio). Da qui il fiorire di poeti (De Rada), scrittori, letterati, cultori della lingua e delle tradizioni albanesi, ma anche di insigni giuristi, politici e patrioti (i Damis), che ebbero influssi persino nella formazione letteraria, politica e civile nella stessa Albania.
Se il Collegio aveva esaurito nel tempo la sua funzione di seminario (e questo fa parte della sua storia meno gloriosa), tuttavia come istituto laico aveva aperto nuovi orizzonti culturali. Dalle sue ceneri come Seminario Pontificio, ecco sorgere un'altra importante istituzione: l'Eparchia di Lungro, che finalmente poteva contare su un territorio ben delimitato e su un Vescovo diocesano. Agli italo-albanesi, dispersi fino a quel momento in quattro diocesi latine fra tante tensioni, finalmente venivano riconosciuti i diritti di normale Chiesa particolare bizantina nella comunione cattolica. L'antico sogno degli arbëreshë e la lotta per la difesa della loro identità ecclesiale si era finalmente avverata.
Volevo inoltre sottolineare che ho scritto questo libro non per soddisfare una mia velleità culturale e tanto meno per motivi di lucro, ma per offrire un imput specie alle nuove generazioni, che oggi rischiano di essere fagocitate dalla crescente globalizzazione e dall'omologazione, per riscoprire in qualche modo le radici della propria storia. Per ogni popolo la coscienza e la conoscenza del suo passato ne garantiscono la sopravvivenza e lo spingono a conservare il patrimonio culturale che è sempre fonte di ricchezza. Ciò vale specialmente per noi, che siamo nella condizione di minoranza etnica e quindi più esposti a quel fenomeno della omologazione di cui parlavo prima. Oggi la legge 482/1999 che tutela le minoranze, ci viene incontro per evitare un tale rischio.
Vorrei lanciare un appello prima di tutto alle famiglie che sono le custodi di questo patrimonio: Trasmettete ai vostri figli la lingua e le tradizioni, collaborate ed anzi pretendete dalle istituzioni (comuni, province, regione) e specialmente dalla scuola che riveste un ruolo molto importante in questo ambito, la tutela di tale patrimonio, con iniziative valide a garantire la nostra sopravvivenza. Anche la nostra Chiesa, che ha sempre difeso con convinzione i valori spirituali ed umani degli arbëreshë, ora che non deve più combattere, come in passato, per la salvaguardia del proprio patrimonio teologico, liturgico, canonico secondo lo spirito della tradizione bizantina, può contribuire alla rinascita di questa nostre comunità.
Termino col dire: Ho dedicato questo mio libro, come si legge nella prima pagina, ai miei antenati albanesi perchè essi costituiscono le mie radici, a tutti coloro che hanno lottato per la salvaguardia della Chiesa italo-albanese dato che l'argomento trattato riguarda appunto la storia del Collegio eretto con lo scopo di formare ed educare il clero italo-albanese ed infine a mia madre che, come tutti voi ben sapete, non era arbëreshe di nascita, ma di adozione; aveva imparato a parlare l'albanese, l'aveva studiato quando papàs Emanuele Giordano aveva tenuto dei corsi di grammatica albanese per insegnanti e durante la sua attività didattica aveva sempre promosso ricerche sulla storia e sulla cultura locale.
Era entusiasta delle nostre tradizioni e, quando si trovava a conversare con qualcuno che neanche conosceva la nostra esistenza, ne parlava con orgoglio: "Noi abbiamo una storia gloriosa e delle tradizioni bellissime: la lingua, il costume, i canti, la liturgia..."
Ecco vorrei trasmettere a voi tutti questo stesso entusiasmo, che mi auguro non rimanga uno sterile sentimentalismo, ma che si concretizzi in opere costruttive per la nostra sopravvivenza. Lo dobbiamo ai nostri antenati che hanno sofferto e lottato perché noi oggi fossimo quello che siamo. Grazie! (Besa/Roma).