Le quattro comunità arbëreshe del Molise (Montecilfone, Ururi, Portocannone e Campomarino) mantengono ancora oggi una apprezzabile vitalità culturale e una notevole volontà di resistenza alla corrosione.
Il 30 e 31 maggio a Montecilfone ha avuto luogo un seminario di studi per riflettere sullo stato della lingua materna, l’arbëresh, e sulla cultura tradizionale che la connota.
.Hanno animato l’incontro il Prof. I. C. Fortino e la Dr.ssa M. Bruci, dell’Università di Napoli L’Orientale.
Il Prof. Fortino nel suo intervento ha posto all’attenzione e alla riflessione dei partecipanti tre punti fondamentali: 1) lo stato della minoranza arbëreshe e gli strumenti di tutela; 2) i tratti linguistici delle parlate arbëreshe; 3) la cultura letteraria.
1. Morte e rinascita delle lingue.
La lingua arbëreshe, nello stato di diaspora all’interno del contesto linguistico e culturale italiano meridionale, si è tramandata oralmente per più di 500 anni e ha visto sorgere e affermarsi una creazione letteraria ad opera di autori arbëreshë autodidatti. Oggi le comunità arbëreshe mostrano segni di sfilacciamento del tessuto linguistico e di quello culturale, dietro le spinte della lingua e della cultura più prestigiosa, l’italiana. Le leggi, nazionale e regionali, vogliono essere un baluardo al processo di impoverimento della cultura arbëreshe e al contempo un elemento propulsivo di sviluppo, di cui si avvertono già i primi segni positivi; a) organizzazione degli sportelli linguistici; b) progetti di didattica della lingua parlata locale; c) attività seminariali di aggiornamento per gli operatori culturali e per quanti vogliano approfondire le conoscenze; d) pubblicazioni relative a problematiche legate alla lingua, alla letteratura e alla cultura arbëreshe.
Gli operatori culturali nella loro attività, che è svolta con impegno e generosità, sono sostenuti dalla tesi, comprovata dal linguista francese Claude Hagège, secondo cui le lingue, anche le più corrose, possono rinascere e riprendere vigore e ruolo, purché opportunamente sostenute (Cfr. C. Hagège, Morte e rinascita delle lingue, Feltrinelli, Milano 2002).
Le comunità arbëreshe, pur accusando un comprensibile stato di indebolimento, mantengono tuttavia una interna potenzialità che si spera gli permetta una ripresa più sensibile nel prossimo futuro.
2. La variante linguistica.
La lingua arbëreshe, nelle sue varie forme analizzate sotto il profilo del processo evolutivo, presenta tratti conservativi di notevole importanza, ma anche vari fenomeni di innovazione. Tra questi ultimi quello più appariscente è l’infiltrazione nel tessuto dell’arbëresh di molti elementi lessicali italiani o romanzi.
La struttura di fondo della grammatica resiste in maniera sorprendente. Vanno ricordati, in sintesi, alcuni tratti che caratterizzano le varie parlate: a) in fonetica, a mo’ d’esempio, vanno menzionati i nessi consonantici conservativi kl, gl di alcune parlate arbëreshe che permettono di individuare anche le zone di provenienza d’oltre Adriatico: la Çamëria che si trova a sud-ovest dell’Albania; mentre la trasformazione della liquida palatale ll in fricativa velare gh è indice di innovazione; b) in morfologia la conservazione del genere neutro e alcune forme di aoristo in –ta, -tim, riportano a un periodo antico documentato anche dagli autori del XVI secolo; mentre la tendenza alla scomparsa dell’aoristo sigmatico è segno dell’evoluzione piuttosto recente della lingua; c) nella sintassi sono presenti costruzioni paratattiche con valore semantico durativo al posto delle ipotattiche: është e fjë; rri e qan. Questi ed altri fenomeni linguistici sono stati illustrati attraverso la proiezione di cartine geolinguistiche, contenute nella recente pubblicazione dell’Atlante Dialettologico della Lingua Albanese.
Parlando di
lingua, si è accennato anche a questioni di glottodidattica, relative
alla forma linguistica da insegnare nelle comunità albanofone, rispetto
anche alla lingua standard d’Albania. A tal proposito si è fatto
riferimento al Convegno, tenutosi a S. Paolo Albanese nel giugno 2006,
su “Quale didattica per l’arbëresh”, che ha affrontato l’argomento,
dando documentate indicazioni (Cfr. Atti: Quale didattica per l’arbëresh,
Quaderno 2, UNIBAS 2006). Si è, in sintesi, ribadito che rimane fondamentale
l’insegnamento della lingua parlata, quella con cui il ragazzo si
identifica, perché è la lingua che lo lega alla famiglia e al paese.
3. Cultura letteraria.
Un dato significativo che denota la vitalità della minoranza linguistica è rappresentato dalla produzione letteraria e dagli studi scientifici e divulgativi di molti scrittori arbëreshë. Si è ribadito che, fino a quando una comunità minoritaria allogena produce opere letterarie, espressione della propria cultura e nella propria lingua, ha buone garanzie di sopravvivenza e fondate prospettive di sviluppo. Gli arbëreshë, infatti, fin dal primo secolo di insediamento nell’Italia meridionale hanno cominciato a scrivere nella propria lingua e hanno continuato a creare gradualmente una ricca tradizione di valide opere letterarie. Se il passato è stato segnato positivamente dalle opere di scrittori, quali Varibobba, Chetta, De Rada, Santori, Serembe, Dara, il presente continua ad essere caratterizzato dalla continuità della produzione letteraria in lingua arbëreshe: Ujko, Schirò, Zuccaro, Bruno, Golletti, Del Gaudio, Campera.
Il seminario ha attirato l’attenzione di un pubblico qualificato e motivato, pronto ad affrontare tematiche vitali per la cultura della comunità arbëreshe, ed ha concluso i lavori auspicando incontri a scadenza periodica per garantire continuità all’aggiornamento e alle ricerche sul campo.