terenziotocci.jpgNota di Terenzio d'Alena a commento del volume "Fascismo ed antifascismo nella Calabria albanese" di Domenico A. Cassiano, Edizioni ICSAIC, 2016.

Signor Cassiano, la pazienza non è infinita! A distanza di poco tempo sono costretto ancora a rispondere in difesa alle accuse offensive nei confronti della nobile figura di giurista e di soldato di mio nonno Terenzio Tocci.

Detto che tutta la comunità arbreshe è compatta nel riconoscere doti e virtù dell'illustre avo, compresa la stimata pattuglia degli storici italo-albanesi, ho la necessità di ribattere le tesi, ma sarabbe meglio indicarle come illazioni, del Cassiano, che dopo "La collina del prete" si è cimentato in "Fascismo e antifascismo nella Calabria albanese".  All'interno del libro persino la prefazione di Cappelli ammonisce di una scarsa professionalità  dell'autore come ricercatore e di giudizi liquidatori nei confronti del fascismo quando esiste un filone di studi dedicati e precisi che ha stabilito le esatte articolazioni del potere del tempo con tutte le realtà calabresi.
Leggendo il volume salta subito agli occhi il tentativo di interpretare i fatti e soprattutto gli intendimenti secondo la formula pragmatica della convenienza. La seria ricerca e la sistematica collocazione storica, con dati e nomi e  fatti  inequivocabili in quanto da fonti certe riportati, non esistono quasi. L'unico ossessivo refrain è l'antifascismo ottuso e non supportato.
L'ultimo capitolo è dedicato, dulcis in fundo, al Tocci, e qui le "perle" si sprecano. Le evidenze sono rappresentate da alcune invenzioni che potrebbero sembrare divertenti, se non tentassero  di modificare quella parte di storia balcanica. Nel 1911 Tocci sarebbe stato inviato in Albania da Ricciotti Garibaldi e non per sua volontà, lo stesso Ricciotti sarebbe stato "sottoposto a procedimento penale" in Italia (non si capisce per quale reato visto che non partecipò alle iniziative del Tocci). Poi si parla di velleitarismo del nonno e di essere stato un "troppo cattivo politico" secondo uno sconosciuto giornalista russo. Il Fronte di Liberazione Nazionale (tanto indipendente da essere condotto dai Serbi) sarebbe stato nel '42 "l'unico e leggittimo detentore del potere politico" (con quali risultati si sarebbe visto subito con la guerra civile e nei decenni seguenti, caratterizzati dalla miseria e l'ignoranza del popolo, l'isolazionismo totale di un regime che si teneva col terrore e i processi a senso unico). Ma il peggio del peggio il Cassiano lo consuma quando, reiterando le accuse insulse e antistoriche degli ideologizzati umini al potere nel dopoguerra nella martoriata Albania, processa e uccide Terenzio Tocci per una volta ancora: che necessità c'è, sia pure nel confronto di idee pure auspicabile, sparare a zero contro chi non si può difendere? Non può per il semplice fatto che il suo imbattibile idealismo lo aveva fatto restare nella Terra delle Aquile (per essere barbaramente trucidato)  a dispetto di chi lo consigliava di riparare velocemente in Italia. Il comandante  non abbandona la nave, anche se Cassiano ha pronta anche qui una sua personalissima illazione, naturalmente non suffragata da testimonianze certe nè da prove inoppugnabili: Terenzio voleva un ruolo nel regime di Hoxha! Mio nonno aveva rischiato la vita nell' '11 per combattere i Turchi e per l'indipendenza di quella che era ormai la sua Patria, e la vita perse nel '45, ma chi lo accusava di collaborazionismo era pronto a cedere la sovranità a Serbi, Sovietici, Cinesi... Spiegare queste verità a Cassiano ormai significa perdere tempo, così come proporgli insegnamenti morali che mai ha recepito.  Almeno lasci del tutto di occuparsi di mio nonno: la famiglia Tocci reagisce a ogni ingenerosa insinuazione nei confronti dell' illustre avo ed è pronta a dare battaglia. Se si ostina a non porgere le convinte scuse (l'uomo vero si vede se è in grado di immergersi in un bagno di umiltà), si occupi di ciò che vuole, Cassiano, ma elimini dalle sue tenebrose elucubrazioni mentali Terenzio Tocci. Nella maniera più assoluta e definitiva.
Terenzio d'Alena

Signor Cassiano, la pazienza non è infinita! A distanza di poco tempo sono costretto ancora a rispondere in difesa alle accuse offensive nei confronti della nobile figura di giurista e di soldato di mio nonno Terenzio Tocci. Detto che tutta la comunità arbreshe è compatta nel riconoscere doti e virtù dell'illustre avo, compresa la stimata pattuglia degli storici italo-albanesi, ho la necessità di ribattere le tesi, ma sarabbe meglio indicarle come illazioni, del Cassiano, che dopo "La collina del prete" si è cimentato in "Fascismo e antifascismo nella Calabria albanese". All'interno del libro persino la prefazione di Cappelli ammonisce di una scarsa professionalità dell'autore come ricercatore e di giudizi liquidatori nei confronti del fascismo quando esiste un filone di studi dedicati e precisi che ha stabilito le esatte articolazioni del potere del tempo con tutte le realtà calabresi.

Leggendo il volume salta subito agli occhi il tentativo di interpretare i fatti e soprattutto gli intendimenti secondo la formula pragmatica della convenienza. La seria ricerca e la sistematica collocazione storica, con dati e nomi e fatti inequivocabili in quanto da fonti certe riportati, non esistono quasi. L'unico ossessivo refrain è l'antifascismo ottuso e non supportato.

L'ultimo capitolo è dedicato, dulcis in fundo, al Tocci, e qui le "perle" si sprecano. Le evidenze sono rappresentate da alcune invenzioni che potrebbero sembrare divertenti, se non tentassero di modificare quella parte di storia balcanica. Nel 1911 Tocci sarebbe stato inviato in Albania da Ricciotti Garibaldi e non per sua volontà, lo stesso Ricciotti sarebbe stato "sottoposto a procedimento penale" in Italia (non si capisce per quale reato visto che non partecipò alle iniziative del Tocci). Poi si parla di velleitarismo del nonno e di essere stato un "troppo cattivo politico" secondo uno sconosciuto giornalista russo. Il Fronte di Liberazione Nazionale (tanto indipendente da essere condotto dai Serbi) sarebbe stato nel '42 "l'unico e leggittimo detentore del potere politico" (con quali risultati si sarebbe visto subito con la guerra civile e nei decenni seguenti, caratterizzati dalla miseria e l'ignoranza del popolo, l'isolazionismo totale di un regime che si teneva col terrore e i processi a senso unico). Ma il peggio del peggio il Cassiano lo consuma quando, reiterando le accuse insulse e antistoriche degli ideologizzati umini al potere nel dopoguerra nella martoriata Albania, processa e uccide Terenzio Tocci per una volta ancora: che necessità c'è, sia pure nel confronto di idee pure auspicabile, sparare a zero contro chi non si può difendere? Non può per il semplice fatto che il suo imbattibile idealismo lo aveva fatto restare nella Terra delle Aquile (per essere barbaramente trucidato) a dispetto di chi lo consigliava di riparare velocemente in Italia. Il comandante non abbandona la nave, anche se Cassiano ha pronta anche qui una sua personalissima illazione, naturalmente non suffragata da testimonianze certe nè da prove inoppugnabili: Terenzio voleva un ruolo nel regime di Hoxha! Mio nonno aveva rischiato la vita nell' '11 per combattere i Turchi e per l'indipendenza di quella che era ormai la sua Patria, e la vita perse nel '45, ma chi lo accusava di collaborazionismo era pronto a cedere la sovranità a Serbi, Sovietici, Cinesi... Spiegare queste verità a Cassiano ormai significa perdere tempo, così come proporgli insegnamenti morali che mai ha recepito. Almeno lasci del tutto di occuparsi di mio nonno: la famiglia Tocci reagisce a ogni ingenerosa insinuazione nei confronti dell' illustre avo ed è pronta a dare battaglia. Se si ostina a non porgere le convinte scuse (l'uomo vero si vede se è in grado di immergersi in un bagno di umiltà), si occupi di ciò che vuole, Cassiano, ma elimini dalle sue tenebrose elucubrazioni mentali Terenzio Tocci. Nella maniera più assoluta e definitiva.

Terenzio d'Alena

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