“Il peggior vino contadino è migliore del migliore vino d’industria.”
Luigi Veronelli
Tra le manifestazioni che si svolgono nell’Arcipelago dell’Arberia, una delle più interessanti è sicuramente il “Concorso Vini Arbëreshë”, che ogni primavera si tiene a Vaccarizzo Albanese in provincia di Cosenza.
L’iniziativa, ideata dal Sindaco Aldo Marino e dal suo staff, da diversi anni riscuote un notevole successo, incrementando sempre più il numero dei visitatori. Il concorso vuole valorizzare e premiare i cosiddetti vini artigianali, i quali nella maggior parte dei casi sono vini rustici che, pur non elaborati e ricercati, spesso risultano interessanti e pregevoli. Non a caso, in apertura, abbiamo citato in maniera un po’ provocatoria l’autorevole Maestro Gino Veronelli!
L’evento, sicuramente importate per la valorizzazione del nobile nettare, è anche un modo per far conoscere un “terroir”, ossia, come sostiene Bruno Prats, “una combinazione di clima suolo e paesaggio che modella il carattere di un vigneto e quindi del suo vino”. E da ciò è facile evincere che il vino non è una mera bevanda da consumare e basta, ma è soprattutto un fatto culturale, espressione di una tradizione e di un territorio.
Nel promontorio dei cosiddetti Colli Arbëreshë della destra Crati, in provincia di Cosenza, sorge Shën Sofia (Santa Sofia d’Epiro) che un tempo era rinomata per la produzione di un ottimo sughero, per le belle donne (Anna Maria Bugliari, Miss Italia 1950) e per la qualità dei suoi vini. Attualmente la produzione di sughero è quasi inesistente, le belle donne pare non manchino e la produzione di buon vino, così come per l’ottimo olio extra-vergine d’oliva, dopo un periodo di calo, è in crescita, soprattutto per la caparbietà di persone che dedicano a questa creatura - sì perché il vino è un essere che vive, altrimenti non invecchierebbe - parte delle loro giornate e quindi della loro vita. E infatti sia il Primo Premio come miglior vino rosso, sia quello come miglior bianco sono stati conferiti, per questa edizione, a due viticultori ka Shën Sofia (di Santa Sofia d’Epiro). Peccato che da qualche anno non si assegni più il riconoscimento ai Vini da Meditazione, di cui a Santa Sofia esistono diversi produttori, alcuni dei quali, nelle passate edizioni, si sono aggiudicati il premio più ambito.
Il vino bianco vincitore, creato seguendo e affinando la tradizione familiare da Mario Azzinnari e prodotto in prevalenza da uva Malvasia bianca e in misura minore da altri vitigni autoctoni, sempre bianchi, agli occhi presenta un colore paglierino tenue, al naso è gradevole e leggermente vinoso con lievi note floreali, al palato presenta un sapore fresco e asciutto lievemente tannico. Inoltre possiede buona alcolicità e acidità.
Il Primo Premio come miglior vino rosso è stato assegnato a Raffaele Godino, ma in realtà il demiurgo del Rosso Nettare è il suocero Atanasio Paldino, che negli anni Ottanta inizia a impiantare viti poco conosciute nel comprensorio arbëresh, tra le quali l’Albana e il Montepulciano. Non dimentichiamoci che in quel periodo, fino alla seconda metà degli anni Novanta, quest’ultimo, insieme al Sangiovese e al Trebbiano, era tra i vitigni più diffusi nel territorio nazionale, anche perché consigliato dal Ministero dell’Agricoltura. Il rosso vincitore, vinificato in purezza, quindi monovitigno, con uva Montepulciano, incanta la vista con il suo colore rosso rubino intenso, l’odore è caratteristico, etereo, il sapore ammaliante di ciliegia è asciutto, pieno e armonico. Un autentico nettare degli Dei!
Il comprensorio dove si producono i vini sopracitati non è molto distante dal sito archeologico della Città di Sibari (in questo periodo è doveroso menzionare la sua indispensabile salvaguardia, anche per sensibilizzare e non dimenticare l’importanza storica e culturale di questo luogo, oltretutto unico, e per ciò che esso rappresenta per la Calabria e l’umanità intera) fondata dai greci, i quali, prima che lo scrittore americano Ernest Hemingway formulasse la nota massima, avevano capito che “il vino è uno dei maggiori segni di civiltà nel mondo”.
Rruaç*!
Rruaç Gjithve! (Salute a Tutti!)
*Rruaç (letteralmente “salute, evviva”). Per un arbëresh questo augurio, pronunciato, guardando in alto, mentre si brinda, significa molto di più che un semplice “salute!”. Equivale più o meno a: “che tu possa vivere sempre!”.