cristosommosacerdote.jpgPavel Florenskij, il grande teologo russo, tra i maggiori di questo secolo, ha scritto

"La pittura d'icone è una metafisica dell'essere, non una metafisica astratta ma concreta".

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La prima materia che l'uomo plasma è proprio il proprio corpo, per esprimere a se stesso ciò che vive, comprende e progetta nell'interiorità del suo spirito. L'arte, come attività intensamente significativa, realizza questa esigenza espressiva dello spirito e nasce dalla vita dell'uomo, nel momento in cui egli pronuncia a se stesso una parola bella e la carica dei significati, che sono il prodotto del suo vissuto e della sua speranza. L'arte è quindi essenzialmente una parola tradotta in immagine, è l'arte sacra cristiana, nel nostro caso l'arte sacra cristiana orientale, cioè l'icona, è la parola che la Chiesa significa a se stessa, in quello che vive e celebra.
Nella tradizione del cristianesimo d'Oriente, l'arte sacra figurativa ha svolto e svolge una funzione strettamente liturgica. In Oriente, più che in Occidente, la Chiesa ha sempre lottato non per la qualità artistica della sua arte, ma per la sua autenticità, non per la sua bellezza, ma per la sua verità.
E' in questa ottica che è molto interessante scoprire se nella tradizione della Chiesa bizantina italo-albanese è presente questa arte sacra, che frutti abbia potuto produrre, come si sia potuta sviluppare, giacché non va dimenticato il fatto che soltanto da circa un ottantennio è stata eretta la Diocesi greca di Lungro(1919), che ha potuto far rivivere e sviluppare in modo pieno e completo la tradizione orientale, che i profughi albanesi del XV secolo avevano tenacemente conservata e difesa.
L'icona proprio perché icona, impone una lettura attenta e prolungata, perché è immagine ed è immagine sacra. Come immagine l'icona può veicolare la verità (ed è quanto compie nella tradizione liturgica orientale), ma può veicolare anche l'errore. Come immagine sacra, poi, non è una semplice immagine o rappresentazione di un evento o di un soggetto sacro, ma è soprattutto il frutto di una teoria teologica ed estetica, elaborata puntigliosamente dopo la crisi iconoclastica dei secoli ottavo e nono a Bisanzio.
D'altra parte un certo risveglio dell'iconografia sacra, spesso compromesso con i fabbricatori di mode, e l'aggressività che va assumendo il mondo delle immagini attraverso i mezzi di comunicazione di massa, rendono attuale questa ricerca della presenza delle icone nel mondo italo-albanese, in quanto come immagini sacre, costituiscono un interessante nodo problematico, a motivo della loro storia e funzione nella vita della Chiesa. Infatti quanto si guardano le icone si è colpiti dal loro dinamismo intrinseco: dicono nella staticità quello che ordinariamente oggi si suole dire nel movimento. Forse questo aspetto è uno dei motivi del loro fascino: si fanno guardare. Ma nel mondo italo-albanese hanno soltanto svolto questa funzione, oppure sono state e sono parte integrante di tutta una tradizione spirituale?
La via della bellezza consente di scoprire una profonda unità nella vita di fede, tra precetto (morale) e consiglio (mistica), tra vita presente e futura o escatologica. La bellezza e la sintesi della verità e della bontà conferisce un sapore umano a tutto l'impegno cristiano perché esalta la gratuità dell'amore e la luminosità della verità. Tutto questo è possibile, se si riconosce che il luogo privilegiato della bellezza, per noi accessibile, è l'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio. Scoprire tutto questo, ricercando le icone, la loro bellezza e la loro funzione nella tradizione degli italo-albanesi, può diventare non solo un fatto culturalmente esaltante, ma anche un fatto che trascende la storia di una piccola comunità, per diventare segno di una civiltà, che non conosce confini di tempo e di spazio.

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