Domenica primo luglio 2012, la diocesi greco-bizantina di Lungro avrebbe dovuto vivere la pagina più bella del suo modo di essere: perla di fede cattolica, certo, ma – soprattutto, direi – custode di quel rito, per la sopravvivenza del quale i nostri papàdes di ieri hanno combattuto tenacemente, fino a dare una svolta alla storia dei rapporti con Roma papalina e latineggiante, non sempre benevola con noi nel corso dei secoli. Dico, avrebbe dovuto vivere, ma così non è stato: e mi spiego.
La gioia di accompagnare un proprio figlio ai piedi dell’altare di Dio, perché ricevesse la consacrazione ad Eparca, ha coinvolto tutti noi Lungresi, in un crescendo di emozioni indistinte ma profonde, fraternamente confuse in un ingorgo di analoghe sensazioni, vissute insieme ai tanti diocesani riversatisi a Lungro per la straordinaria occasione: stupenda manifestazione di un credo, da esercitare nella singolarità del nostro rito greco, ma anche opportuno momento per esprimere sostegno e stima al carissimo papàs Donato Oliverio, finalmente consacrato ad Eccellenza, secondo le nostre attese e secondo i di lui meriti. Ma per la circostanza, il nostro rito greco-bizantino, il vescovo di Piana degli Albanesi (Sua Eccellenza Rev.ma Sotìr Ferrara), l’Archimandrita del Monastero di Grottaferrata (Sua Eccellenza Rev.ma Emiliano Fabbricatore) e i nostri reverendi papàdes hanno subìto una vera e propria condizione di marginalità nell’ambito di un evento che – come dicevo – sarebbe dovuto essere - così come in effetti è - l’espressione massima della nostra identità sul piano liturgico e su quello storico: atteso che di tutta la cerimonia resterà, quale documento visivo e sonoro, solo ciò che la TV – tra tante difficoltà ed incertezze – è riuscita a mandare in onda. Già all’uscita del corteo clericale dalla curia vescovile, mi sono visto soffocato da un mare di guglie biancastre latine, montate su generose rotondità da circolo polare, mentre i nostri esponenti del clero, in paziente e compunto raccoglimento, venivano sballottati in modo indistinto tra la folla di curiosi: reduci riservisti di battaglie dimenticate anche dalla storia! - E che ci fanno tanti esponenti di rito latino in una cerimonia in cui il rito greco si dovrebbe concretizzare e manifestare nel suo massimo momento di splendore? Ecco, forse son qui solamente per testimoniare una convinta riverenza al nuovo Vescovo di Lungro - mi son detto. Pazienza! “Tirém innànz !!! “. Autoritario ma commovente il dialogo di fede tra il primo Vescovo consacrante , Ecc. Rev.ma Ercole Lupinacci , e il Rev.mo archimandrita candidato alla Chirotonia, papàs Donato Oliverio. La testimonianza di fede da questi confermata, in un’atmosfera di intensa spiritualità, mi ha fatto levare gli occhi verso quel credo immortalato nell’ampia fascia architettonica che lega le navate della nostra Cattedrale, e mi ha fatto rivivere i brividi di un tempo, allorché il Vescovo di Lungro, il suo clero ed il suo popolo, nelle solennità dell’anno liturgico, si ritrovavano insieme a cantare le lodi all’Eterno, con le voci dei nostri avi e secondo il mistico decoro del nostro rito, che è forte nei suoi valori simbolici e robusto nella coscienza collettiva: Pistévo is èna Theòn…..omologò en vàptisma is àfesin amartiòn……prosdokò anàstasin necròn ke zoìn tu méllondos eònos ! Violenti tagli di luce solare, frammisti alla luce di sfavillanti lampade di cattedrale in festa, all’improvviso mi sono apparsi miracolosamente legati a quella, più tenue e balbettante, dei mille ceri in preghiera, idealmente abbracciati in offerta orante verso l’imponenza del Pantocrator , che nella ieraticità del gesto codificato nelle icone bizantine, pareva accogliere con paterna gratitudine la voce del suo Servo, elevata in alto tra nugoli di incenso di mirto. Ma al momento della consacrazione episcopale, con mia somma iniziale sorpresa soffocata da immediato sdegno, ho visto, tra i tre consacranti, due vescovi di rito latino: il loro nome non interessa, perché non è in discussione la loro persona; è in discussione la funzione loro affidata, che mi è parsa subito impropria, inopportuna e assolutamente fuori contesto. E perché mai dare compiti istituzionali a due vescovi di rito latino in una cerimonia che avrebbe dovuto sigillare il trionfo della nostra Chiesa Greco-Bizantina, nella sua autonoma, distinta ed esaltante unicità di rito.? Ed i nostri papàdes? Eccoli, defilati in mortificato atteggiamento di immeritata sudditanza verso interpreti del tutto estranei al mondo greco-bizantino: rari punti di aureo colore d’oriente, tra una selva di ogive semoventi! E il Vescovo di Piana degli Albanesi, Ecc.za Rev.ma Sotìr Ferrara? E’ rimasto, per tutto il tempo, relegato in un angolo della Cattedrale e, da acutissimo studioso di musica bizantina, soltanto coinvolto, forse, nel discorso musicale, interpretato – nella circostanza - con rara perizia dal nostro coro. Già sento i maestrini di teologia applicata ricordarmi che non è importante la forma rituale con cui si manifesta la fede, ma è importante l’essenza del credo; Dio è uguale per tutti, greci o latini che si voglia; la fede viene prima di ogni altra considerazione ecc… ecc… ecc… !