Qual è lo stato di salute della nostra lingua arbëreshe? Il primo vero dramma è che nessuno è in grado di dare una risposta documentata a questa domanda poiché non esiste alcuno studio socio-linguistico specifico sulla nostra minoranza. Tuttavia, pur mancando dati attendibili, non è difficile avvertire il rischio di estinzione dell'arbëreshë. È evidente, infatti, che il numero di locutori, pur non essendo stato mai censito, è molto basso e in continua diminuzione mentre l'età media è in costante aumento.
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Il segnale più grave viene però dai bambini che in percentuale sempre minore acquisiscono fluenza della lingua avita. A molti conviene non ammetterlo o far finta di nulla, ma in tanti nostri paesi l'arbëresh è virtualmente perso soppiantato sempre più frequentemente dal dialetto dei paesi latini vicini. Per fare qualche esempio, a Civita, Spezzano, Firmo, Santa Sofia, Frascineto e perfino a San Demetrio i bambini capaci di parlare correntemente arbërisht sono oramai una sparuta minoranza.

Molti ritengono che la causa fondamentale sia legata al mutato contesto socio-economico e all'isolamento geografico delle nostre comunità che oggi sono troppo piccole e sole per resistere alle nuove forme di pressione esterne tendenti all'omologazione culturale.  Altri, invece, puntano il dito contro l'obsolescenza linguistica dell'arbëresh reputando che sia l'inefficienza espressiva della lingua la causa principale del suo inutilizzo. Pur potendo costatare in entrambe le posizioni elementi di verità, esse non riescono a cogliere l'essenza di quanto sta accadendo oggi alle nostre comunità e, men che meno, lasciano intravedere una qualche luce di speranza nel nostro futuro giacché né è possibile cambiare la cartina geografica né si può importare forzatamente una lingua quand'anche questa lingua fosse lo shqip.  Entrambi i punti di vista, inoltre, non spiegano come mai oggi in una famiglia in cui i genitori parlano correntemente arbërisht si scelga con crescente frequenza di parlare ai figli esclusivamente in italiano. Questa scelta deliberata delle famiglie sta così creando una generazione non più bilingue ma capace solo di comprendere l'arbëresh senza poterlo parlare e, quindi, tramandare. Le ragioni del nostro declino culturale sono complesse e non è possibile comprenderle tentando semplificazioni ma è indubbio che la radice vada ricercata proprio nell'ambito familiare che ha costituito per secoli il veicolo trasmissivo principale della lingua, capace di mantenerla viva anche nelle famiglie emigrate in città straniere.

Rivitalizzare una cultura e una lingua minoritaria non è solo difficile ma non esistono interventi con garanzia di successo. Resistere all'omologazione, infatti, è oggi per gli arbëreshë quasi impossibile ma che questa stia avvenendo nel silenzio (quasi) assoluto è disonorevole.  Le istituzioni e le associazioni che operano nel nostro territorio preferiscono, infatti, agire senza affrontare alcuna fase di analisi e senza inquadrare gli interventi in un piano organico ignorando il declino culturale in cui ci muoviamo. Le molteplici attività che si svolgono oggi nei nostri paesi rischiano, così, di essere inutili o, nel migliore dei casi, solo parzialmente efficaci. Non si capisce perché, infatti, la gran parte delle energie venga spesa nel tentativo di fotografare lingua e tradizioni morenti preoccupandosi per nulla o molto poco di rivitalizzarle. Di fatto, le iniziative volte al rafforzamento dell'apprendimento in ambito familiare della lingua sono inesistenti così come pochissimi sono i comuni che ne promuovono l'utilizzo tra i bambini. Sarebbe utile, per esempio, informare le famiglie distribuendo, all'atto della registrazione anagrafe di un neonato, un piccolo vademecum con alcune semplici considerazioni sul perché è importante parlare arbërisht in famiglia e sui vantaggi della formazione bilingue rilevati, peraltro, in numerosi studi scientifici. In molti casi, inoltre, le scuole primarie dei paesi di lingua minoritaria stanno notevolmente accelerato l'uso esclusivo dell'italiano in famiglia. Molti insegnanti, di fatto, ritengono sia più facile che i bambini bilingui possano superare le tipiche incertezze linguistiche abolendo l'uso della lingua minoritaria. Per questo motivo, se è vero che la scolarizzazione dell'arbëresh è importante, è altrettanto vero che a questa si deve abbinare un'attività di sensibilizzazione e informazione delle famiglie anche da parte delle istituzioni scolastiche. In mancanza di questi interventi, l'insegnamento dell'arbëresh sarà assimilabile a quello di una lingua straniera.

Provvedimenti di questo tipo richiedono una sensibilità istituzionale che fino a questo momento è stata lacunosa. I sindaci, infatti, a parte pochi casi, si limitano alla cura del proprio orticello senza pensare a nessun progetto inter-comunale. Per rimanere tra i politici, le uniche due cariche calabresi sovra-comunali (l'assessore regionale al turismo con delega alle minoranze linguistiche e l'assessore provinciale cosentino alla pubblica istruzione e alle minoranze linguistiche) non hanno svolto a pieno negli ultimi anni il ruolo di guida e di coordinamento che sarebbe stato, invece, necessario. Una risposta diversa e forte a questi problemi dovrebbe venire dalle associazioni che operano nei paesi arbëreshë con straordinaria dedizione e, spesso, con ottimi risultati. Sarebbe però opportuno mettere da parte gli interessi locali e personali (che ciascuno considera essenziali) mentre si dovrebbe definire un piano di azione comune, coordinando gli sforzi per rispondere uniti alle sfide del nostro tempo. Solo lottando insieme, infatti, si potrà essere incisivi trovando nell'unità la speranza e la forza necessarie per affrontare un futuro certamente difficile.


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