L’esigenza di cambiamenti radicali dell’architettura istituzionale dell’Europa è divenuta improcrastinabile, in specie dopo la Brexit e l’avanzamento dei movimenti sovranisti che, seppure minoritari ed in frizione tra loro, hanno in comune solo l’odio per gli stranieri ed i rifugiati e paventano politiche di gretta chiusura lumpen-nazionalistica e quindi rappresentano un serio campanello d’allarme per l’intera Europa.
D’altro canto tra alcuni ceti politici ‘europeisti’, che negli ultimi anni hanno governato l’Ue, alligna la mala pianta di una concezione liberista che vede la concorrenza come unico parametro tra gli Stati, i territori, le imprese e le persone, concezione che negli ultimi tempi ha evidenziato tutti i suoi gravi limiti. Entrambe queste concezioni stentano a formulare progetti di riforma europea per il futuro e si diffonde quindi tra i popoli una sensazione di abbandono. La costruzione europea degli anni ’90, dopo il crollo del muro di Berlino e la caduta dei Paesi a capitalismo di Stato dell’Est, troppo presto inglobati nell’Unione, è stata caratterizzata dalla sbornia neoliberista e dalla imposizione di una dura ed esclusiva logica di mercato che ha stravolto il profilo mite ed inclusivo dello spirito comunitario delle origini. Questa logica è coincisa con una accelerazione dell’integrazione economica che ha portato, nel 2002, all’introduzione della moneta unica: l’Euro. L’Eurozona però non è l’Europa e tanto meno quella preconizzata dai Padri Fondatori.
La costruzione dell’Europa deve continuare per mezzo di radicali riforme. Il Parlamento Europeo deve divenire il vero organo politico transnazionale ove non solo i partiti politici, ma anche altre istanze sociali e territoriali abbiano voce, al fine di liberare dall’inerzia delle pastoie attuali, i negoziati intergovernativi che ora condizionano L’Europa e ridare fiducia ai cittadini europei nel colmare le gravi carenze di legittimità democratica esistenti. Un solo esempio. Con l’ultima crisi del capitalismo si è formato l’Eurogruppo, vero e proprio super-governo tecnocratico formato dai Ministri delle Finanze dei Paesi dell’Euro, organo che non solo è estraneo al Parlamento Europeo ed opera al di fuori dei Trattati europei, ma ha acquisito sempre più poteri senza alcuna legittimazione democratica. Non è un caso che l’Europa viene vista sempre più dai propri cittadini, come lontana e dominata dalla grande finanza e dalle banche, in effetti l’Eurogruppo per sua natura e composizione, limita esclusivamente le politiche economiche degli Stati membri e non fa attenzione alle politiche dell’occupazione, della crescita, della solidarietà fra i Paesi, della coesione sociale e di quanto tocca quotidianamente la vita degli europei. Attualmente il controllo democratico della governance dell’Eurogruppo è inesistente e non a caso quest’ultimo non ha mai affrontato problematiche importanti quali la precarietà sociale, l’evasione fiscale, il riscaldamento globale, l’immigrazione dal sud del mondo, le forti diseguaglianze all’interno dei Paesi membri, solo per citare alcune problematiche tra le tante all’ordine del giorno. L’Europa odierna è ricca e paralizzata, sempre più vulnerabile e diseguale, incapace di governare le emergenze e programmare il futuro ed anche delegittimata dai nascenti movimenti sovranisti difficili da rubricare in una sola famiglia. Certo, abbiamo una classe politica europea che pare non completamente all’altezza dei tempi ed ancora incapace di vedere oltre alla sopravvivenza della dimensione attuale; non parliamo, poi, del ceto politico italiano nel suo insieme, che è per lo meno nauseabondo e tenta di conquistare i media nel proporre demenziali soluzioni per uscire dall’Euro, o nel suo continuo e puerile ricercare il capro espiatorio degli storici guai del Belpaese, capro espiatorio che alla fine è sempre individuato nell’Unione Europea; questo perché le classi dirigenti preferiscono assecondare pro-domo propria, una opinione pubblica aggressiva e poco informata, invece di governarla e dare risposte vere alle sue paure. In generale i partiti politici grandi e piccoli, hanno molti vizi acquisiti e la loro priorità è posizionarsi bene per le prossime elezioni, non governare per il bene comune, non per il ‘benessere’ dei cittadini. Questo degrada molto la politica, le istituzioni, l’interesse generale.
Altro esempio utile da considerare, seppure sinteticamente, è il Trattato di Maastricht, del quale spesso si è parlato ma non compiutamente; delle tre colonne portanti di questo Trattato, ne è stato realizzato, guarda caso, solamente uno: la libera circolazione di merci e persone, che tutto sommato funziona. Le altre due colonne portanti quali la politica interna e la giustizia, la politica estera e la difesa, sono rimaste al palo perché per gli Stati aderenti all’Unione Europea questi elementi rappresentano requisiti importanti della propria sovranità e visto che attualmente vale il metodo degli accordi intergovernativi, tutto è fermo e non se ne discute neppure. Da qui ne discende anche la modifica del Trattato di Dublino 2 sui profughi, il quale prevede che i migranti siano costretti a rimanere nei Paesi d’approdo ove debbono fare richiesta di protezione – i Paesi del sud Europa. Da quanto sopra dipende la mancata risposta di Bruxelles alla sfida migratoria e non solo a questa, sfida che molti politici da strapazzo ipocritamente imputano alla Ue, senza affrontare e risolvere le cause a monte e sottacendo alla opinione pubblica che il Belpaese non ha una legge organica per i rifugiati e gli asilanti (denuncia fatta già nei primi anni del 2000 con serrata campagna stampa dall’Ass. Skanderbeg di Bologna).
Questo scritto non vuole essere, ovviamente, una denuncia completa dei tanti nodi cruciali ed irrisolti dell’Europa, ma vuole mettere a fuoco singole problematiche e vuole contribuire ad informare e fare un po’ di chiarezza su diverse posizioni e per alimentare un dibattito europeo trasversale ai partiti ed ai movimenti, dibattito in corso in specie oltre le Alpi, al quale vogliamo partecipare per rivendicare più forte che mai le ragioni per le quali l’Europa è sorta. Non possiamo dimenticarlo. Ma l’Unione Europea non è stata ben costruita, perché ha aderito al processo neoliberista globale ed è diventata un’Europa dall’alto, tecnocratica, che ha generato disuguaglianze ed è stata foriera di tragiche negatività (!). Questa deviazione della costruzione istituzionale europea non deve ingannarci, crediamo che sarebbe un errore darla per persa, perché l’Europa è il miglior desiderio dell’umanità di questa parte del mondo. Certo è la troika che ha costruito dall’alto un’Europa che non rappresenta la maggioranza della popolazione, allora è la maggioranza della popolazione che deve ricostruire l’Europa non delegando ad una istituzione la responsabilità della propria auto-riforma. Lo si deve imporre dal basso. Il municipalismo in Europa oggi ha un ruolo molto importante, ha il valore delle pratiche e delle esperienze concrete vissute nel quotidiano. Dalle esperienze socio-politiche partecipate che nascono e si sviluppano nei territori di tanta parte del nostro continente, dal risveglio della coscienza delle minoranze etno-linguistiche, dobbiamo puntare a raggiungere il progetto migliore che abbiamo a disposizione: l’Unione Federale, con suffragio europeo che permetta ai cittadini di votare per le formazioni continentali, così dal potersi finalmente sottrarre ai ricatti dei partiti nazionali. Il declino geo-politico di quest’area del mondo pare sia un dato di fatto, dovuto all’imponente crescita di altre regioni del mondo, ma sarebbe molto più rapido e sconvolgente senza l’Unione Europea. Che alternativa abbiamo al progetto federale? Il ritorno alle logiche dei piccoli Stati, magari in lotta tra loro e ‘sostenuti’, come la corda sostiene gli impiccati, da giganti vicini o lontani. Quando si parla di federalismo europeo, non si può pensare che venga effettuato attraverso l’unione di Stati che hanno spesso logiche centraliste avulse dal proprio contesto territoriale; solo per fare alcuni macro esempi, la Catalogna che vuole uscire dalla Spagna, ma rimanere nella Ue, la Scozia ed il Nord-Irlanda che per restare nella Ue, minacciano di staccarsi dalla Gran Bretagna, ora in preda a convulsioni politiche, o l’annoso problema tra Valloni e Francofoni in Belgio, solo per indicare alcune tra le Regioni di crisi riportate di sovente dalla stampa, ma tante altre sono in incubazione. Attualmente questa Europa, formata da Stati Nazionali, continua a difendere un suo membro (la Spagna) che viola il diritto all’autodeterminazione dei catalani. Non parliamo poi dell’Italia, dove le minoranze linguistiche, se non hanno un ‘patronage’ statuale altro che le difenda (vedi i Patois ed i Tedeschi), sono tutelate solo da leggi che restano lettera morta e non vengono applicate, quindi nei fatti culturalmente massacrate ed a rischio di estinzione. In Italia poi si parla delle riforme costituzionali dello Stato in modo sincopato; il profondo silenzio dopo l’ultima fallita proposta di riforma costituzionale, sarà presto sostituito dal bailamme di scontri e confronti, quando si dovrà affrontare la richiesta di autonomia di alcune Regioni del Nord e, speriamo, di alcune Regioni storiche popolate dalle minoranze linguistiche sparse nel Paese, sempre che i soloni di queste ultime ed i tanti ‘cultori’ presenti avranno il coraggio, una volta nella propria vita, di alzare civilmente ed unitariamente la propria voce in modo chiaro e forte per la difesa della propria cultura. Solo così si potranno ottenere duplici effetti: la tutela delle minoranze per la costruzione di una nuova Europa. Stiamo vivendo un momento storico cruciale per i nostri figli e quindi per le generazioni future. Scriviamo ancora una volta e ripetiamo come un mantra che, memori del Sogno dei Padri Fondatori, “dobbiamo costruire oggi una Europa Federale dei popoli, delle comunità e delle persone, degli stili di vita, delle culture e delle loro storie, del rispetto delle differenze soggettive, culturali, etniche; tutti questi elementi vitali ed imprescindibili dell’insieme. Proprio perché crediamo ad un’Europa di storie, linguaggi, luoghi, di ‘vaterland’ ed ‘heimat’, memorie che devono essere valorizzate, tutelate e reciprocamente dialogare, al fine di creare mentalità moderne che sapranno proiettarsi nel futuro, a condizione di saper includere nella propria esperienza quella del passato che indubbiamente fa parte del presente, come questa del futuro”. Viva l’Europa Federale.
Giuseppe Chimisso
Cittadino Onorario di Civita