Riportiamo qui di seguito un articolo articoli apparso il 16 febbraio in prima battuta su "La Stampa " e successivamente riproposto con qualche modifica sul sito del TG1 RAI. Gli articoli contengono numerose inesattezze e propongono una tesi del tutto contestabile: lo stato di evidente crisi delle comunità ecclesiastiche italo-albanesi sarebbe, secondo gli autori, legato alla presenza di sacerdoti sposati. A margine di questa riflessione, in entrambi gli scritti viene dato ampio risalto all'insofferenza di molti italo-albanesi nei confronti degli amministratori apostolici delle Eparchie di Lungro e Piana degli Albanesi.

 Attualmente sono tutte e tre "commissariate" dalla Santa Sede le realta' cattoliche di rito bizantino del nostro Paese, due delle quali hanno nelle loro file preti sposati, come previsto dal diritto canonico orientale, documenta l'Agi. L'eparchia di Lungro, in Calabria, e' affidata ad un amministratore apostolico, l'arcivescovo di Cosenza Salvatore Nunnari, l'eparchia di Piana degli Albanesi a un delegato apostolico, mons. Francesco Pio Tamburrino, arcivescovo di Foggia, dal quale dipende anche il monastero basiliano di Grottaferrata (i cui monaci sono ovviamente tenuti al celibato). La situazione delle comunita' di rito orientale e' molto preoccupante anche perche' ci sono oggi in Italia tanti immigrati cattolici di rito greco: albanesi, rumeni e ucraini, i cui bisogni spirituali si sommano a quelli delle poche migliaia di eredi delle popolazioni albanesi che nella seconda meta' del XIV secolo, incalzate dai turchi, emigrarono in Calabria e Sicilia, dove hanno cercato di mantenere vive le proprie tradizioni all'interno delle diocesi di rito latino fino a quando, nel 1919, la Santa Sede ha concesso l'erezione della eparchia di Lungro, concedendo 15 anni dopo l'altra diocesi in Sicilia. La lunga attesa per vedere riconosciuti i propri diritti di appartenenti al rito bizantino ha lasciato cicatrici nelle comunita' italo-albanesi e oggi c'e' turbamento per il fatto che sia l'amministratore apostolico Nunnari che il delegato Tamburrino sono vescovi di rito latino. L'eparca di Lungro Ercole Lupinacci ha compiuto 75 anni nel novembre 2008 e per due anni si e' tentato inutilmente di individuare un successore, impresa rivelatasi impossibile per l'esistenza di fazioni contrapposte nel clero locale, con conseguenti veti reciproci che si aggiungono alla difficolta' di scegliere in una rosa ristretta di candidati perche' il diritto canonico esclude dall'episcopato i preti sposati che nell'eparchia sono invece la maggioranza. "Sua Eccellenza Nunnari e' persona degnissima e stimatissima, ma il suo incarico - hanno protestato amministratori e politici locali riuniti nel municipio di Lungro - mette in discussione consolidate tradizioni e, per molti versi, l'identita' stessa della comunita' italo albanese. Appare infatti incomprensibile che l'interim sia affidato ad un vescovo di rito latino, colpendo duramente la sensibilita' dell'intera comunita' arbereshe. Con la semplicita' propria di chi e' all'oscuro dei sottili equilibri che regolano l'incedere della Chiesa nelle scelte di affidamento della pastorale, sentiamo l'obbligo morale di chiedere che si arrivi in tempi brevi alla nomina del nuovo vescovo, sentendosene viva esigenza". Ancora piu' intricata la situazione della Chiesa italo-albanese in Sicilia. Gia' delegato apostolico per l'abbazia di Grottaferrata dal 1994, mons. Tamburrino ha assunto in giugno la giurisdizione anche sull'eparchia di Piana degli Albanesi in Sicilia, dove il 73enne vescovo Sotir Ferrara non riusciva piu' a tenere insieme i preti sposati e quelli celibi che dipendevano da lui (e si puo' ben immaginare che - date queste premesse - tra due anni sara' difficilissimo trovargli un successore). L'episodio piu' clamoroso risale all'anno scorso, quando in occasione del tradizionale rito della Paraclisis (un canto di lode alla "Madre di Dio") il parroco latino della Chiesa della Madonna della Favara a Contessa Entellina, don Mario Bellanca, aveva fatto trovare chiuso il portone della chiesa ai fedeli di rito greco, costringendoli a celebrare all'esterno. Per svelenire il clima, mons. Tamburrino ha deciso la rotazione di alcuni parroci ma trasferire i "papas", cosi' vengono chiamati i preti sposati, e' molto complicato. "Devo condividere con la mia famiglia sacerdotale questa decisione cosi' come ho condiviso con essa il mio presbiterato", ha risposto al delegato uno dei parroci trasferiti, papas Sepa Borzi', che era stato destinato proprio a Contessa Entellina. Mentre a San Nico di Cantinella, frazione di Corigliano, la cui comunita' e' stata staccata dalla parrocchia greco-cattolica di Cantinella e assegnata a quella latina, sono i fedeli a ribellarsi. "Senza rispetto per le nostre tradizioni spirituali - hanno scritto in un appello - veniamo di nuovo destinati alla completa latinizzazione, nonostante recenti scandali locali non del tutto estranei alla costruzione di una chiesa latina destinata alla nostra comunita' greco-albanese e all'abbandono spirituale nel quale si trovano i nuovi immigrati ortodossi residenti anche in nostri paesi arbereshe privi di clero ortodosso". Il riferimento e' in particolare alla comunita' greco-cattolica rumena presente in Italia (oltre mezzo milione di immigrati) che recentemente si e' vista respingere dalla Cei la richiesta di farsi seguire in Itaia da clero uxorato messo a disposizione dall'episcopato rumeno perche' non esisterebbe "la 'giusta e ragionevole causa' che giustifichi la concessione della dispensa" dalla legge ecclesiastica per la quale i preti sposati delle Chiese orientali non possono esercitare al di fuori del territorio storico della loro Chiesa: un limite contro cui hanno protestato anche i vescovi riuniti lo scorso ottobre in Vaticano per il Sinodo sul Medio Oriente. "La convenienza di tutelare il celibato ecclesiastico e di prevenire il possibile sconcerto nei fedeli per l'accrescersi di presenza sacerdotali uxorate prevale infatti - ha spiegato in una lettera ai vescovi rumeni il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco - sulla pur legittima esigenza di garantire ai fedeli cattolici di rito orientale l'esercizio del culto da parte di ministri che parlino la loro lingua e provengano dai loro stessi Paesi". Recentemente un paio di sacerdoti italiani di rito orientale, stanchi dei contrasti, sono passati a chiese ortodosse, seguiti da gruppi di fedeli. Questo fatto rende particolarmente inquietante che l'appello dei fedeli di San Nico sia indirizzato nell'ordine "ai patriarchi di Mosca e di tutte le Russie, Romania, Bulgaria, agli arcivescovi di Atene e di tutta la Grecia, Tirana e di tutta l'Albania, di Ochrida e, per conoscenza, al Papa, a mons. Pio Tamburrino, metropolita di Foggia e visitatore apostolico di Piana degli Albanesi e a mons. Salvatore Nunnari, metropolita di Cosenza e amministratore apostolico di Lungro". Inseguito dai problemi dell'eparchia siciliana fino a Foggia, dove pulman di fedeli bizantini sono andati a protestare, mons. Tamburrino deve occuparsi anche dell'abbazia di Grottaferrata, definita da Pio XI "la fulgidissima gemma orientale incastonata nel diadema della Chiesa Romana". Sarebbe una fucina naturale per i vescovi di rito orientale, i quali dovendo essere celibi e ben preparati sono scelti spesso tra i monaci. Ma oggi, spiega l'archimandrita, padre Emiliano Fabbricatore, "gli unici monaci basiliani rimasti in Italia sono quelli che vivono nell'abbazia: in tutto siamo 12, tutti anziani e malati". Una possibile via d'uscita da queste difficolta' - come e' stato proposto nel 2005 fa al Sinodo Intereparchiale delle tre realta' bizantine italiane - sarebbe l'istituzione in Italia di un'unica prelatura per i fedeli di rito orientale, che certamente favorirebbe nuove vocazioni alla vita monastica e al sacerdozio (sia celibatario che uxorato).

 

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